13.12.16

SE PIOVONO ZAFFIRI E RUBINI...


E' il caso di dirlo: questa volta Kepler ha fatto un...ricco bottino!
L'incredibile varietà dei pianeti e dei sistemi planetari che si stanno scoprendo in questi anni lascia veramente stupefatti, al pari dei nuovi studi di frontiera che caratterizzano le atmosfere di questi lontanissimi mondi.
Questa volta Kepler si è concentrato su un pianeta scoperto nel 2008 e distante 1040 anni luce da noi, HAT-P-7b (noto anche come Kepler-2b), l'oggetto della milionesima osservazione scientifica del telescopio spaziale Hubble (2011).
16 volte più grande della Terra e con una massa 500 volte maggiore, HAT-P-7b rientra nella classe dei gioviani caldi, ovvero degli esopianeti giganti gassosi molto vicini alla loro stella. Il pianeta è talmente vicino alla sua stella (0,04 UA) che il suo anno dura appena 2 giorni e 4 ore.
Fin qui nulla di speciale se non fosse per le incredibili condizioni meteorologiche presenti su questo pianeta. 
I nuovi studi hanno messo in evidenza le caratteristiche atmosferiche concentrandosi sulla luce riflessa dall'atmosfera del pianeta e la variazione di posizione del punto più luminoso del pianeta. In termini generali sono stati rilevati venti supersonici di direzione variabile che provocano profondi mutamenti nell'intera atmosfera del gigante gassoso; più in particolare è stata messa in evidenza una potente corrente equatoriale, anch'essa di direzione variabile, in grado di ridistribuire ingenti quantità di nubi nell'intera atmosfera. 
I modelli hanno permesso di stabilire che in pianeti di questo tipo le particelle di perovskite e corindone, il minerale che produce zaffiri e rubini, condenserebbero attorno ai 100mbar nell'emisfero notturno. Tali condensati persisterebbero nell'atmosfera fino al terminatore, prima di evaporare nell'emisfero diurno.
Inoltre la vicinanza alla sua stella, molto più calda del Sole e di dimensioni doppie, vincola HAT-P-7b ad un bloccaggio mareale, ovvero lo costringe a mostrare sempre lo stesso emisfero al suo sole. Tale condizione fa sì che nell'emisfero perennemente diurno vi siano temperature di circa 2580°C, mentre in quello perennemente notturno la temperatura è sensibilmente minore.
Le osservazioni, diversamente da quanto ci si aspettava, hanno mostrato la formazione di enormi sistemi nuvolosi nell'emisfero notturno successivamente trasportati da fortissimi venti verso l'emisfero diurno dove si dissolvono a causa delle altissime temperature.
Si tratta della prima osservazione di cambiamenti climatici in corso su un esopianeta gigante gassoso.



Articolo
Articolo 2

LA' DOVE NASCONO GIOVANI GIGANTI GASSOSI

A 400 anni luce da noi, attorno alla stella HD 163269, un disco protoplanetario sta plasmando in questi istanti due nuovi esopianeti.
E' stato il radiointerferometro ALMA ad osservare per la prima volta il lieto evento cosmico in corso, notando tre solchi ben distinti nel disco di polveri e gas in rotazione attorno alla giovane stella.
Secondo i modelli attuali tali orbite "prive di materia" sarebbero proprio quelle che ospitano i pianeti in formazione che, orbita dopo orbita, accrescono la loro massa ripulendo da gas e polveri il loro percorso.
Il team stava utilizzando ALMA per mappare la distribuzione della polvere e del monossido di carbonio nel disco, quando ha scoperto i tre solchi concentrici. Tali aree prive di materia sono posizionate a 60, 100 e 160 unità astronomiche dalla stella (ricordando che 1 unità astronomica è la distanza che separa la Terra dal Sole). In altre parole, la lacuna più vicina alla stella si trova ad una distanza pari al doppio di quella di Nettuno!
La cosa interessante è che la distribuzione del monossido di carbonio è identica a quella della polvere: ciò vuol dire che nelle lacune mancano entrambi!
Questa evidenza implica che la formazione dei pianeti all'interno delle lacune si trova ad uno stadio avanzato, avendo già ripulito la loro orbita dalla maggior parte del gas e delle polveri.
Gli astronomi stimano che nelle lacune più esterne si stiano formando due pianeti con una massa simile a quella di Saturno. Si attendono ora ulteriori osservazioni in altre bande per avere un quadro ancora più approfondito del sistema di HD 163269 e fare più chiarezza sulle dinamiche che portano alla formazione dei pianeti.

29.11.16

UNA SUPER-TERRA VICINA TUTTA DA STUDIARE

C'è un pianeta extrasolare molto promettente, scoperto nel gennaio 2015, che in questi giorni sta facendo parlare di sè: si tratta di K2-3d. 
Dietro questa fredda catalogazione si nasconde infatti uno dei pianeti più promettenti per la ricerca di acqua liquida e di vita fuori dal sistema solare. 
Di recente un team internazionale di astronomi ha analizzato i dati relativi al pianeta raccolti da Kepler, Spitzer e dall'Osservatorio Astrofisico di Okayama (Giappone). Così facendo sono riusciti a calcolare con maggiore precisione il periodo orbitale del pianeta permettendo una migliore predizione dei nuovi transiti.
Conoscere le effemeridi di un pianeta extrasolare di tale importanza permette di poter pianificare con accuratezza quando condurre proficuamente nuove osservazioni. Alla luce dei nuovi studi infatti gli astronomi saranno in grado di stabilire con precisione quando il pianeta transiterà di fronte al disco della sua stella, permettendoci di raccogliere preziosissime informazioni.
K2-3d, distante circa 137 anni luce da noi in direzione della costellazione del Leone, è un pianeta roccioso con un raggio pari a 1,5 volte quello della Terra ed un anno che dura appena 45 giorni. La breve durata del suo anno lo colloca su un'orbita molto vicina alla sua stella (0,2 UA) e quindi potremmo pensare che questo sia un mondo rovente ed inondato dalla luce del suo astro. Ma il suo è un sole grande la metà del nostro e dalla temperatura sensibilmente minore e quindi la sua vicinanza è un fattore tanto positivo da includerlo nella fascia abitabile del sistema.
A stuzzicare l'appetito degli astronomi si aggiunge la temperatura sul pianeta che, secondo le stime, sarebbe simile a quella terrestre. La sua temperatura si aggirerebbe attorno ai 280K, ovvero circa 7°C.
Tra la trentina di pianeti potenzialmente abitabili scoperti da Kepler, K2-3d è il più vicino e quindi più facilmente studiabile e monitorabile attraverso osservazioni future.
Accennavamo al risultato più importante appena ottenuto: la stima più precisa del periodo orbitale.
Il piccolissimo eclisse procurato dal transito del pianeta sul suo sole ha generato un calo di luminosità della stella pari a 0.7 millesimi di magnitudine, ovvero poco al di sotto della sensibilità dello strumento rilevatore (1.2, 0.9 e 1.2 millesimi di magnitudine nelle bande g,r e z), ma è stato possibile notarlo comunque grazie all'incrocio di dati raccolti in precedenti osservazioni da parte di Kepler e rafforzando l'indagine con una nuova tecnica che combina in contemporanea osservazioni multibanda. 
La nuova tecnica, messa in atto dallo strumento MuSCAT (Multi-color Simultaneous Camera for studying Atmospheres of Transiting exoplanets) montato sul telescopio da 188 cm di Okayama, permette l'analisi del pianeta attraverso molteplici e specifiche bande. Così facendo il livello di accuratezza raggiungibile è sensibilmente maggiore.
Nel frattempo la combinazione dei nuovi e vecchi dati ha permesso di conoscere il periodo orbitale con una precisione 30 volte superiore, ovvero con un errore di appena 18 secondi! Il "nuovo" anno dura 44.55612 ± 0.00021 giorni.

Tutto questo in attesa della nuova ed imminente generazione di telescopi che sarà in grado di studiare in dettaglio l'atmosfera di K2-3d  alla ricerca di molecole prodotte dall'attività biologica.


26.10.16

TRE DISCHI PROTOPLANETARI PER DUE STELLE


Abbiamo capito da tempo ormai che il sistema solare non è che una delle possibili configurazioni possibili per un sistema planetario. Anzi, per quanto ne sappiamo, ad oggi un sistema organizzato come il nostro rappresenta una rarità.
Nel corso degli ultimi anni, su questo blog, ne abbiamo lette tante di novità incredibili. Ma quella che state per leggere merita di essere annoverata tra le più complicate ed inaspettate. 
Meno di un milione di anni fa, a 400 anni luce dalla Terra, un disco di gas e polveri perturbato si stava preparando a generare una coppia di stelle che oggi conosciamo come IRS 43.
Fin qui nulla di particolare: i sistemi stellari binari sono estremamente comuni nella galassia e si pensa che addirittura siano in netta maggioranza rispetto alle stelle "solitarie".
La cosa strabiliante ed incredibile è che queste giovani stelle di 100-200 mila anni ospitano tre dischi di gas e polveri! Ognuna delle due stelle possiede un proprio disco protoplanetario delle dimensioni del nostro sistema solare ed in più c'è un terzo disco più ampio che le abbraccia entrambe. 

Come se non bastasse tutti e tre i dischi sono disallineati tra loro, facendo ipotizzare un'origine turbolenta dell'intero sistema.
L'incredibile scoperta è stata possibile grazie ad ALMA (Atacama Large Millimeter Array), che ha potuto ottenere immagini chiare dei dischi. Attualmente la tecnologia disponibile non ci permette di distinguere pianeti in formazione all'interno di questi dischi ma la giovane età delle stelle indica che si è attualmente negli stadi iniziali di formazione di un sistema planetario in ognuno dei tre dischi.


ALMA riesce ad ottenere le immagini perchè osserva la radiazione infrarossa e microonde emessa dalle molecole dei gas che compongo i dischi, eccitate dal calore delle stelle. 

L'incoerenza nella rotazione e nell'inclinazione dei dischi è stata scoperta osservando l'entità dello spostamento verso il blu (avvicinamento) o verso il rosso (allontanamento) della luce emessa dai dischi.

Per studiare la fisica che si nasconde dietro questo inedito sistema complesso, il team di astronomi autore della scoperta chiederà più tempo osservativo ad ALMA e creerà simulazioni al computer.

Nel frattempo possiamo solo immaginare quale spettacolo grandioso ci sia nel cielo di quei futuri pianeti. Se tutto andrà bene, quelle due stelle saranno i soli di ben 3 sistemi planetari....in un unico sistema!

Articolo , Articolo2

12.10.16

PROXIMA CENTAURI B. FASE 2: COMINCIA LA CARATTERIZZAZIONE.


Ricorderete molto bene la storica notizia della scoperta del pianeta extrasolare più vicino a noi: Proxima Centauri b, orbitante attorno alla stella più vicina in assoluto al Sole, ovvero Proxima Centauri. Con ogni probabilità, in un futuro forse non così remoto come potremmo pensare, si tratterà del primo mondo visitato dall'uomo (da una sonda o di persona) appartenente ad una stella diversa dal Sole.
Dopo anni ed anni di tentativi e falsi positivi la scoperta è arrivata, ma ora comincia un lavoro ancora più lungo e complicato: lo studio della struttura e della composizione del pianeta. In altre parole, la sua caratterizzazione.



I primi a cimentarsi in questa nuova fase sono stati gli astronomi francesi del CNRS e quelli statunitensi della Cornell University. I loro studi, in assenza di alcune importanti informazioni, sono basati su congetture il più possibile verosimili  organizzate in modelli che permettono il calcolo del raggio planetario e della posizione dei differenti strati di materia al suo interno.
Oltre alla conoscenza della composizione globale e della massa, il team ha assunto che il pianeta sia denso, solido e possegga acqua. Alcuni dati ignoti sono stati derivati dal sistema solare. 
Quindi il modello studiato si riconduce a quello utilizzato per lo studio di pianeti solidi senza atmosfere massive.
Tale modello ha attribuito al pianeta un raggio compreso tra 0,94 e 1,40 raggi terrestri. Il valore minimo coincide con un pianeta di 1.10 masse terrestri in cui il 65% della massa è concentrata nel nucleo, come Mercurio. Il valore massimo invece si basa su un pianeta di 1,46 masse terrestri in cui il 50% della massa è acqua. Quest'ultimo valore farebbe ipotizzare la presenza di un unico oceano d'acqua globale, rendendo Proxima b un vero e proprio pianeta oceano.

La realtà però è ancora avara di risposte sul pianeta: non conoscendo con certezza la massa, la presenza o meno di un'atmosfera e la sua struttura, risulta impossibile stimarne la densità media e quindi comprenderne la reale struttura interna. Dati fondamentali per caratterizzare un mondo, anche se questo si trova all'interno della zona abitabile del suo sistema.
I suddetti modelli si basano su evidenze statistiche che si stanno affinando in questi anni grazie al numero enorme di pianeti extrasolari scoperti, ma che non danno risposte certe: possono aiutare a restringere le probabilità indicando una direzione preferenziale.

Articolo

17.9.16

TW HYDRAE: IL DISCO DELLA DISCORDIA.


A pochi giorni dall'annuncio della possibile presenza di un pianeta gigante ghiacciato in formazione a 22 unità astronomiche dalla stella TW Hydrae, il disco presente attorno a questo astro torna a far parlare di sè. 
Pare che l'ipotesi che sia in corso la formazione di un pianeta di taglia terrestre nel gap posto a una unità astronomica dalla stella sia in realtà infondata. L'interpretazione dei dati di ALMA che inverte la rotta è contenuta in un nuovo studio condotto da 4 ricercatori italiani all'estero, che hanno un'idea completamente diversa di ciò che ha generato il gap a 1 UA dalla stella.
Secondo il team l'esistenza di quell'anello di spazio "vuoto", posto alla medesima distanza dell'orbita terrestre nel sistema solare, non è da imputare alla presenza di un pianeta di massa terrestre in corso di formazione ma bensì ad un processo molto comune ed incisivo nei dischi protoplanetari: la fotoevaporazione. 



Il potente flusso di radiazioni energetiche emesse dalla stella strapperebbero atomi e molecole dagli accumuli di materiale, allontanandoli verso le zone periferiche del disco, creando aree con densità di materia più bassa rispetto ad altre non interessate dalla fotoevaporazione.
Ma gli indizi più pesanti che hanno generato profonde differenze rispetto alle conclusioni pubblicate di recente riguardano proprio il disco di TW Hydrae: la distanza del gap dalla stella, il tasso di accrescimento di massa sulla stella (ovvero la quantità di materia che dal disco precipita sull'astro), la distribuzione e la densità delle particelle di polvere. Secondo i ricercatori, i dati che sono stati ricavati da ALMA si adatterebbero meglio al modello fotoevaporativo che a quello planetario.

Per comprendere l'importanza cruciale della fotoevaporazione nei dischi protoplanetari, basti pensare che tale processo è responsabile della loro struttura iniziale o della loro rapida distruzione, della migrazione dei protopianeti verso l'esterno del disco o del loro parcheggio su orbite più o meno stabili che ne permettano l'ulteriore sviluppo.

16.9.16

DIRETTA DI UN PIANETA IN FORMAZIONE

L'umanità ha cominciato ad indagare i misteri dello spazio in maniera intensiva da appena 400 anni, ovvero da circa 1/35.000.000 dell'età dell'universo. Ma allora come facciamo oggi a ricostruire le dinamiche di eventi astronomici accaduti miliardi di anni fa o ad ipotizzarne lo sviluppo futuro? 
Beh, la risposta risiede nel luogo in cui questi fenomeni avvengono: l'universo. Si tratta dell'ambiente più grande che esista, il contenitore per eccellenza; tutto ciò che esiste ed avviene fa parte dell'universo. Ed ecco quindi che possiamo ammirare galassie vecchie di miliardi di anni coesistere con galassie giovanissime ed iperattive, stelle morenti che condividono lo spazio con soli appena nati. Per noi osservatori terrestri l'intera storia dell'universo è scritta su quello schermo gigante che è il cielo e il compito dell'astronomia moderna è quello di fare un po' d'ordine permettendoci di ricostruire eventi e storie di corpi celesti assai più lunghe della vicenda umana. E' come se un alieno visitasse la Terra come meta per un weekend fuori porta: non avrebbe certamente il tempo di studiare ad esempio un umano dalla nascita alla morte e dovrebbe comprendere il nostro ciclo vitale osservando semplicemente individui neonati, giovani ed anziani.

Risulta più facile quindi ricostruire il processo che porta alla formazione di un sistema planetario osservandone ad esempio 10 fasi diverse in 10 sistemi planetari simili contemporaneamente, e non facendo ipotesi sul passato e sul futuro del sistema solare avendo come unico termine di paragone il presente di un unico sistema (....e questa era la nostra condizione fino a poco più di 20 anni fa!).
Tale premessa ci fa comprendere l'importanza di scovare in giro per la Galassia tutte quelle differenti istantanee di vita di un sistema planetario al fine di comprendere al meglio ad esempio come nasce e si sviluppa e se questo può raccontarci qualcosa sul passato del nostro stesso sistema!

Un team di astronomi giapponesi dell'Università di Ibaraki ha osservato a fondo la stella TW Hydrae utilizzando il radiointerferometro ALMA. Si tratta di un astro di appena 10 milioni di anni posto a 184 anni luce dal Sole, 
I segnali raccolti da ALMA hanno ricostruito in gran dettaglio il disco di polveri e gas che circonda la stella per centinaia di unità astronomiche anche grazie alla perpendicolarità del disco rispetto alla nostra linea di vista. In particolare sono ben evidenti vari "gap" nel disco, ovvero aree concentriche più scure nelle quali un corpo celeste di dimensioni planetarie starebbe ripulendo la sua orbita dalle polveri.
In uno dei gap più interni, posto a circa 22 unità astronomiche (UA) dalla stella, potrebbe rivoluzionare un pianeta di dimensioni appena maggiori di Nettuno. Osservando a due diverse frequenze, il team ha notato come la polvere del disco posta entro le 22 UA abbia dimensioni minori di quella posta oltre tale distanza. Un'osservazione che rafforzerebbe la teoria attuale che prevede la creazione del gap da parte di un pianeta massiccio e l'allontanamento della polvere più grossolana dal gap stesso e dalle aree centrali del disco in seguito all'interazione gravitazionale ed alla frizione tra grani di polvere e gas.



Considerando le dimensioni del gap posto a 22 UA, il team è stato in grado di stimare anche la massa dell'ancora inosservato pianeta: possiederebbe una massa leggermente superiore a quella di Nettuno.
Il team sta già programmando future osservazioni per comprendere meglio ciò che accade dalle parti di TW Hydrae e per testare un nuovo approccio: lo studio della polarizzazione delle onde radio permetterebbe infatti di discriminare meglio le dimensioni dei grani di polvere nel disco. Un ulteriore obiettivo è quello di calcolare la quantità di gas presente nel disco, sia perchè si tratta del maggior componente, sia per poter ottenere una stima molto più precisa della massa del pianeta.


Questo studio è molto importante per comprendere le modalità di formazione di pianeti giganti ghiacciati in genere ed in particolare potrebbe fornire alcune risposte circa la formazione e l'origine, per certi versi ancora oscura, di Urano e Nettuno.

Articolo

4.9.16

RECORD PER I DUE SOLI DI TRE PIANETI

Un team di astronomi del Carnegie Institution for Science ha annunciato la scoperta di un sistema planetario composto da una coppia di stelle simili al Sole ospitante ben tre pianeti: due in orbita attorno ad una componente ed il terzo orbitante attorno alla seconda componente.
Si tratta della minor separazione tra due stelle legate in un sistema binario in cui entrambe ospitano pianeti. 
I tre pianeti scoperti sono giganti gassosi ed aiuteranno a comprendere l'influenza gravitazionale che la loro presenza genera nell'architettura di un sistema planetario.
Al di là dello scenario mozzafiato che questo sistema evoca nella nostra immaginazione, la scoperta ci aiuta a comprendere il ruolo dei giganti gassosi nei sistemi planetari, data l'enorme importanza che Giove ha avuto nel plasmare e riordinare le orbite del nostro sistema solare.
La scoperta è stata possibile grazie ai dati rilevati in 6 anni di lavoro dal Planet Finder Spectrograph (PFS), sviluppato dal team del Carnegie e montato sul telescopio da 6,5 m Magellan II situato a Las Campanas Observatory (Cile). PFS è in grado di rilevare pianeti di grossa taglia con lunghi periodi di rivoluzione e/o orbite particolarmente ellittiche. 
Lo scopo è comprendere quanto spesso i pianeti giganti gassosi si presentano con orbite ampie e circolari e quanto con orbite strette ed eccentriche: così facendo sarà possibile comprendere al meglio le dinamiche che hanno portato alla formazione del nostro sistema solare e soprattutto stabilire con maggior precisione la posizione più probabile occupata da eventuali pianeti abitabili in un sistema.

Il sistema binario, distante 163 anni luce e vecchio di 9,5 miliardi di anni, è composto dalle stelle HD 133131A e HD 133131B. La prima stella ospita due pianeti dalle orbite poco eccentriche,  uno con massa minima pari a 1,5 masse gioviane (a=1,44 UA, e= 0,32)  e l'altro con una massa pari a poco più della metà di quella di Giove (a=4,8 UA, e=0,47). La seconda stella ospita un solo pianeta dall'orbita eccentrica con al minimo 2,5 masse gioviane (a=6,4 UA, e= 0,62).
Tutti i pianeti del sistema sono stati scoperti con il metodo delle velocità radiali.

Le due stelle sono separate tra loro da appena 360 unità astronomiche (360 volte la distanza che separa la Terra dal Sole): un record che abbatte di 3 volte il precedente.

Ma le novità non finiscono qui. Le due stelle sono povere di metalli, ovvero di tutti quegli elementi diversi da idrogeno ed elio, a differenza della maggior parte delle stelle ricche di metalli che ospitano esopianeti giganti. Si conoscono solo 6 sistemi con carenze di metalli analoghe.

Inoltre, le analisi approfondite sulla composizione chimica delle due stelle mostra come in realtà le due non siano vere e proprie gemelle, bensì semplici sorelle, a causa di una lieve differenza nella composizione chimica. Tale differenza può essersi generata a causa dell'inglobamento passato di alcuni pianeti rocciosi da parte di una stella oppure i pianeti giganti gassosi potrebbero aver destabilizzato le orbite di pianeti rocciosi già formati, spingendoli nella propria stella o espellendoli nello spazio profondo.

Per approfondire:

31.8.16

LA PIÙ COMODA TRA LE TERRE POSSIBILI?

È del 24 agosto 2016 l'annuncio della possibile (praticamente certa...) scoperta di un pianeta di
dimensioni terrestri attorno a Proxima Centauri, la stella attualmente più vicina alla Terra. Le decine e decine di pianeti terrestri scoperti attorno ad altre stelle sono ormai routine....ma perché  tanto fermento per questa nuova scoperta?


Proxima Centauri, nota anche come Alfa Centauri C, è  per l'appunto una delle tre stelle che compongono il sistema ternario denominato genericamente Alfa Centauri. Proxima orbita attorno alle stelle A e B del sistema, portandosi notevolmente più vicino al Sole delle sue compagne (orbitando a ben 15.000 UA di distanza dalla coppia). È  dunque in assoluto la stella più "prossima" al Sole e ragionevolmente l'obiettivo del primo viaggio interstellare robotico e umano in un più o meno remoto futuro. Potete quindi immaginare l'importanza della scoperta di un pianeta probabilmente (..ma non sicuramente) simile al nostro.
Tra poco parleremo di ciò che si sa e dei numeri in ballo ma prima è importante chiarire alcune questioni legate alla seppur minima incertezza sulla scoperta.


A differenza della maggior parte dei pianeti extrasolari scoperti fino ad oggi attraverso il metodo del transito, Proxima b (questo il nome del pianeta) è stato rilevato utilizzando un metodo indiretto noto come "metodo delle velocità  radiali". Tale modalità  si concentra sull'effetto che la presenza di un pianeta ha sulla sua stella. In un sistema composto da due corpi massicci, come una stella ed un
pianeta, la gravità generata dai singoli corpi li influenza reciprocamente. Tale interazione fa sì che la stella costringa il pianeta ad orbitarle attorno ma anche che il pianeta "strattoni" la stella durante la sua rivoluzione esercitando l'attrazione gravitazionale dovuta alla sua massa (seppur nettamente minore rispetto alla massa stellare). Quindi la presenza del pianeta perturba leggermente il moto della stella, quanto basta perchè i sofisticatissimi sensori presenti nei telescopi terrestri e spaziali riescano a rilevare l'entità della perturbazione. Perturbazione che si misura in metri al secondo, tanto per renderci conto del grado di precisione dei sensori attualmente disponibili!
Il metodo delle velocità radiali è tra i più proficui, se consideriamo i metodi indiretti, in quanto ci permette di conoscere molte informazioni sull'intero sistema e sul pianeta...senza neanche vederlo!

Infatti va detto che di Proxima b non abbiamo alcuna immagine, non un singolo pixel, solo dati numerici che però bastano al momento per tracciare l'identikit parziale di una scoperta estremamente importante per il futuro del genere umano.


Fatte queste doverose premesse, passiamo ora all'esplorazione di questo pianeta utilizzando ciò che è stato possibile dedurre con certezza dai dati.
La variazione della velocità radiale indotta dalla presenza del pianeta è pari a 1,4 m/s ed è stata rilevata dal sensibilissimo spettrografo HARPS posto sul telescopio ESO da 3,6 m in Cile. Proxima Centauri si avvicina e si allontana dalla Terra a 5 km/h (a passo d'uomo) con un periodo regolare di 11,2 giorni. E' stato questo il dato che ha permesso di compiere la scoperta: la probabilità che il segnale rilevato sia dovuto ad altri fenomeni o ad un errore è 1 su 10.000.000. Ecco il perchè di qualche piccolissima riserva: gli stessi astronomi ci tengono a sottolineare che la scoperta è praticamente certa, ma il metodo scientifico impone giustamente cautela in materia di scoperte e di affermazioni.
Proxima aveva già lasciato perplessi gli astronomi nel 2013 quando, cercando pianeti in orbita, la stella aveva prodotto segnali contrastanti e difficilmente attribuibili. Si decise allora di pianificare una campagna osservativa di altissimo livello per venire a capo del mistero.
Il dato (1,4 m/s) è il frutto di una campagna osservativa di 60 notti, nota come Pale Red Dot, condotta da un team di astronomi della Queen Mary University di Londra guidati da Guillem Anglada-Escudè. Solo durante i primissimi giorni di osservazione il dato è risultato non chiaro, consolidandosi successivamente per gran parte della campagna osservativa.



Si conosce il limite inferiore della massa di questo pianeta, stimata grazie all'analisi dell'effetto Doppler in 1,27 masse terrestri: si tratterebbe dunque di un pianeta un po' più massiccio della nostra Terra.
L'anno di questo pianeta dura appena 11 giorni e 4 ore, distando solo 7.5 milioni di km dalla sua stella (5% della distanza Terra- Sole - 0,05 UA): la statistica derivante dalle centinaia di mondi noti orbitanti molto vicino alla propria stella fa propendere per un pianeta in rotazione sincrona. Se ciò venisse confermato Proxima b presenterebbe un emisfero in cui è perennemente dì ed uno in cui è perennemente notte. Solo a cavallo del terminatore, ovvero al confine tra il perenne dì e la perenne notte, potrebbero presentarsi condizioni favorevoli alla vita ed alla presenza di acqua liquida. 

E' stata calcolato inoltre che il pianeta è sottoposto attualmente ad un'irradiazione UV/X  400 volte superiore a quella terrestre, dato che in assenza di un'atmosfera ben strutturata produrrebbe gravi danni a forme di vita simili a quelle terrestri.
Anche se non è direttamente legato al pianeta, c'è un altro dato che fa ben sperare circa l'esistenza di vita su Proxima b: la lunghissima vita delle nane rosse. Proxima Centauri, il sole di Proxima b, è una nana rossa con un'età di circa 5 miliardi di anni. Le conoscenze attuali indicano che le nane rosse posseggono vite lunghe centinaia o migliaia di miliardi di anni, multipli dell'età attuale dell'universo; tempi che permettono tranquillamente lo sviluppo e la stabilizzazione di forme di vita, in condizioni favorevoli.
L'ultimo dato che conosciamo con certezza è la distanza di questo mondo dal Sole: 4,22 anni luce, 270.000 volte la distanza Terra-Sole, ovvero poco meno di 40.000 miliardi di km. Numeri di questa portata non sono certamente quantificabili correttamente dal nostro cervello che, abituato alle grandezze "di casa", li inserisce nello scatolone generico delle "cose grosse". Proviamo dunque a fare un po di chiarezza. La sonda che ha raggiunto la maggior velocità nello spazio è Juno, che ha viaggiato a 265 000 km/h (73,61 km/s) per non tardare all'appuntamento con la storia dalle parti di Giove. Ipotizzando l'odierna partenza di una sonda a quella velocità costante in direzione del sistema di Alfa Centauri, essa giungerebbe a destinazione tra circa 17.230 anni! 



La scoperta di questo mondo attorno alla stella più vicina al Sole ha dato un nuovo slancio agli sforzi delle migliori menti per cercare soluzioni che permettano il viaggio interstellare entro un futuro non troppo remoto. Un esempio è il progetto StarShot, che potrebbe portarci a destinazione in tempi umani. Secondo questa grande sfida una flotta di nanosonde, dotate di vele solari  e accelerate con una spinta generata da laser posti sulla superficie terrestre, potrebbe raggiungere il sistema di Alfa Centauri in appena 20 anni di viaggio! A cui vanno aggiunti 4,2 anni per ricevere il segnale dal luogo di arrivo. 



L'entusiasmo è più che giustificato ma, come abbiamo appena visto, per poter affermare con certezza che Proxima b è un cugino della Terra bisogna raccogliere ancora molti dati cruciali. Tra i più importanti ci sono sicuramente i dati relativi all'atmosfera: bisogna ancora accertarne la presenza, comprenderne la composizione e la struttura. La presenza di un'atmosfera simile alla nostra è determinante per la mitigazione del clima (soprattutto tra dì e notte, se il pianeta è in rotazione sincrona) e per schermare la superficie dalle radiazioni energetiche provenienti dalla stella e dallo spazio, aspetti estremamente importanti per la vita o per una futura colonizzazione. Per condurre studi sull'atmosfera però bisogna osservare il pianeta durante un transito di fronte alla sua stella ed attualmente si stanno facendo calcoli sull'orbita percorsa dal pianeta per accertare il verificarsi di questo prezioso evento. Lo studio di Proxima b durante un transito sulla sua stella ci permetterebbe non solo di confermarne l'esistenza, ma anche di rispondere a numerose domande circa la sua composizione ed abitabilità. 

Se la scoperta di cui abbiamo parlato verrà definitivamente confermata, si parlerà di Proxima b per i secoli a venire. Al di là della presenza o meno di vita, dell'abitabilità da parte dell'uomo e della distanza, questo mondo sarà sicuramente il primo pianeta extrasolare su cui l'uomo direttamente o indirettamente metterà gli occhi (e forse i piedi..). Chissà che effetto farà osservare il nostro Sole da così lontano: una stellina di magnitudine 0,4 nella costellazione di Cassiopea...




Per approfondire:

Progetto StarShot : StarShot
Comunicato ESO : articolo
Articolo 

10.8.16

KEPLER IMPLACABILE: OLTRE 100 NUOVI MONDI!

Mai dare nulla per scontato, mai dare una telescopio spaziale per spacciato! Ciò si dimostrò vero per Hubble ed ora risulta più che mai vero per Kepler!
Dopo la gravissima avaria di tre anni fa, Kepler continua a fare incetta di pianeti ad un ritmo impressionante. Il suo sguardo spazia ora in vari luoghi della galassia, diversamente da quanto stabilito all'inizio della sua incredibile carriera.



Seppur con qualche limitazione nei suoi compiti, delegati ai principali telescopi terrestri, Kepler prosegue nella sua osservazione sistematica di migliaia e migliaia di stelle alla ricerca della più piccola variazione luminosa.
Una variazione della luminosità stellare può voler dire tante cose e non sempre è imputabile alla presenza di un pianeta. In questi casi, da indagare e risolvere individualmente, si nascondono ad esempio stelle variabili, dischi protoplanetari e cinture di asteroidi o comete.
In attesa che l'enorme mole di dati raccolta da Kepler venga analizzata, queste stelle vengono inserite nel catalogo dei "candidati" in attesa di verifica.
Spesso abbiamo visto come il numero degli esopianeti confermati, conteggiabile ora in migliaia, sia analogo a quello dei candidati...questo perchè talvolta non è per nulla semplice discriminare il segnale raccolto dal telescopio spaziale e sono necessarie lunghe ed approfondite verifiche prima di scartarlo.
Tra i compiti delegati a quanto di meglio disponibile sulla Terra c'è quello del lungo iter di verifica e caratterizzazione dei candidati scovati da Kepler. Ad occuparsene c'è l'attuale eccellenza mondiale in materia di telescopi a terra: i due gemelli Keck da 10 metri alle Hawaii, la coppia del Gemini Observatory da 8 metri ciascuno alle Hawaii e in Cile, l'Automated Planet Finder da 2,4 metri in California, e l'LBT da 11,8 metri in Arizona.
Tutti questi strumenti si sono concentrati su 197 candidati ancora in attesa di conferma o smentita. Di questi, 63 sono rimasti ancora dei candidati e 30 sono stati scartati come falsi positivi. Ben 104 però sono stati confermati come pianeti realmente esistenti!
Tra i confermati non mancano alcuni mondi che già stuzzicano l'appetito di molti astronomi.

E' il caso di 4 pianeti terrestri appartenenti allo stesso sistema. Posseggono dimensioni analoghe o di poco inferiori a quelle terrestri ed orbitano attorno alla nana rossa K2-72 posta a 180 anni luce in direzione della costellazione dell'Acquario. L'astro ha una massa pari a meno della metà di quella solare ed una bassa luminosità. Il periodo orbitale dei pianeti è compreso tra 5,5 giorni e 24 giorni. Considerandone la posizione, due dei quattro pianeti potrebbero ricevere la stessa irradiazione che riceve la Terra dal Sole e dunque rientrerebbero nella zona abitabile della stella.



Articolo
Articolo

IMPORTANTI NOVITA' DA TRAPPIST-1


Il sistema, che ospita tre pianeti posti nella zona abitabile della loro stella, si trova ad appena 40 anni luce dalla Terra in direzione della costellazione dell'Acquario.

Ora ci sono importanti novità, evidenziate in un articolo pubblicato su Nature il mese scorso.
I due pianeti più interni del sistema sarebbero rocciosi e possiedono atmosfere compatte: una situazione simile a quella presente su Venere e sulla Terra nel nostro sistema solare.

Per raggiungere questo importante risultato però si è resa necessaria una joint venture tra il telescopio TRAPPIST, l'Hubble Space Telescope e lo Spitzer Space Telescope.
Poco dopo l'annuncio della scoperta di TRAPPIST-1, il team autore della scoperta ha richiesto l'utilizzo di Hubble per poter studiare a fondo le atmosfere di due pianeti del sistema (TRAPPIST-1b e TRAPPIST-1c). Secondo i dati precedentemente raccolti da Spitzer, di lì a poco si sarebbe verificato un rarissimo doppio transito: due pianeti del sistema sarebbero transitati contemporaneamente di fronte alla stella fornendo informazioni su entrambe le atmosfere in un unico momento.

Durante il transito (osservato con la WFC3 di Hubble) sono state osservate diminuzioni della luminosità stellare in uno stretto intervallo di lunghezze d'onda, indice di un'atmosfera compatta e non estesa come quella di un gigante gassoso.

L'evidenza di un'atmosfera compatta, simile a quella che circonda Venere, Terra e Marte, ha permesso di convalidare la natura rocciosa dei due pianeti.

Il passo successivo è ora comprendere la struttura e la composizione atmosferica: sarà simile alla densa atmosfera di Venere, satura di anidride carbonica? Simile alla sottile atmosfera terrestre, carica di nuvole di vapore acqueo? O simile alla sottile e rarefatta atmosfera marziana?
Per rispondere a questa fondamentale domanda la comunità astronomica si sta muovendo per
costruire una batteria di quattro nuovi telescopi simili a TRAPPIST, ma di dimensioni maggiori. Il nuovo consorzio SPECULOOS (Search for habitable Planets Eclipsing ULtra-cOOl Stars) si concentrerà in particolare sulle stelle nane ultrafredde, particolarmente interessanti per la ricerca di pianeti e per la loro caratterizzazione. L'interesse per queste stelle nasce dalla loro emissione concentrata principalmente nell'infrarosso (e ridotta nel visibile) che permette di osservare più agevolmente eventuali pianeti in orbita e le relative atmosfere, senza rischiare che l'abbaglio della luce stellare complichi o cancelli del tutto i deboli segnali dei pianeti.

L'autore della scoperta, il telescopio TRAPPIST (TRAnsiting Planets and PlanetesImals Small Telescope), nacque per l'osservazione infrarossa del cielo australe e per la caccia alle comete ed ai pianeti extrasolari. La scoperta di TRAPPIST-1 è avvenuta all'interno di un programma dedicato allo studio di un centinaio di stelle nane del cielo australe.
Il fatto che anche la stella TRAPPIST-1 sia una nana rossa ultrafredda ha permesso di condurre osservazioni tanto dettagliate e precise sul suo sistema planetario che il team si aspetta nei prossimi anni grandissimi risultati con l'entrata in funzione del James Webb Space Telescope e dei grandi telescopi di nuova generazione.




Articolo

8.7.16

FOTOGRAFATO UN PIANETA CON TRE SOLI

A 320 anni luce dalla Terra, nella costellazione del Centauro, c'è un sistema stellare triplo che ospita
un pianeta gigante.

Grazie allo strumento SPHERE a bordo del VLT, gli astronomi sono stati in grado di fotografare il pianeta HD 131399 Ab e le sue stelle. Tra l'altro, secondo le teorie attuali, quel pianeta non dovrebbe esistere: le potenti interazioni gravitazionali tra le tre stelle avrebbero dovuto impedirne la formazione o comunque destabilizzarne l'orbita ed espellerlo dal sistema....ma ciò non accade!


Il sistema stellare triplo ospita una una stella principale con una massa pari a 1,8 volte quella del Sole ed una coppia di stelle meno massicce e luminose.
L'orbita di HD 131399 Ab attorno alla stella più luminosa è la più ampia mai osservata in un sistema stellare multiplo: un anno su quel pianeta dura 550 anni terrestri. 
Si tratta di un mondo giovanissimo, appena 16 milioni di anni, e tra i più freddi e meno massicci finora conosciuti. Con i suoi 580°C ed una massa pari a circa 4 volte quella di Giove, risulta essere anche il pianeta meno massiccio e più freddo di cui si è riusciti ad ottenere un'immagine diretta.

Un ipotetico osservatore posto sulla superficie del pianeta vedrebbe, a seconda della stagione (in ogni caso più lunga di una vita umana), tre albe e tre tramonti al giorno oppure un giorno perenne. Per la maggior parte della sua orbita nel cielo del pianeta si vedrebbero 3 stelle, le due che formano una coppia stretta e la più luminosa che varia la distanza apparente dalla coppia durante l'anno. Così facendo sul pianeta ci sarebbe un'unica alba tripla ed un unico tramonto triplo, permettendo l'alternanza del dì e della notte. Ma, con il progressivo distanziarsi delle stelle nel cielo durante l'anno, quando il tramonto della stella principale coincide con il sorgere dell'altra coppia allora si ha un dì costante per circa un quarto dell'orbita del pianta....ovvero 140 anni terrestri! 


Attorno alla stella principale A, a 300 UA di distanza, orbita la coppia stretta di stelle B e C. La coppia BC è separata da 10 UA, la stessa distanza che separa Saturno dal Sole. In questo ambiente stellare transita il pianeta nella sua orbita a 80 UA dalla stella A (il doppio della distanza che separa Plutone dal Sole). L'orbita ampia di HD 131399 Ab lo porta a poco più di 1/3 della distanza dalle stelle BC, al limite per poter mantenere un'orbita stabile. 
Il funzionamento di questo sistema desta estremo interesse tra gli astronomi e sono già state fissate ulteriori osservazioni per affinare la conoscenza della traiettoria orbitale del pianeta.


Infine, grazie all'osservazione diretta del pianeta è stato possibile ottenerne lo spettro. Tale spettro è fondamentale per determinare direttamente parametri fisici e chimici propri del pianeta, come la temperatura. Osservando nell'infrarosso (1.4 - 1.6 micron) è stato possibile caratterizzare l'atmosfera: sono presenti acqua, metano e forti venti in quota.

UN PIANETA CON TRE SOLI


Oggi conosciamo centinaia di sistemi planetari sparsi per la galassia che ospitano migliaia di pianeti. Data la grande varietà di configurazioni con cui si presentano, potremmo dire che quasi ogni sistema ha le sue affascinanti peculiarità e la natura sa sempre come stupirci.
L'ultima meraviglia scoperta è il sistema stellare triplo HD 131399, ospitante un pianeta che in teoria non dovrebbe esistere. 
HD 131399 si trova a circa 319 anni luce dalla Terra in direzione della costellazione del Cenaturo ed è composto da tre astri molto differenti. La componente principale A, una stella giovane (16 milioni di anni appena) di classe A1, è simile a Sirio e Vega ed ospita il pianeta. Le altre due stelle del sistema, B e C, orbitano l'una attorno all'altra, separate da 10 UA (1 UA è la distanza Terra - Sole, 10 UA è circa la distanza tra la Terra e Saturno), e la coppia rivoluziona attorno alla componente principale A alla distanza di 300 UA. 
Il sistema è talmente luminoso che risulta visibile nel cielo come una stella di magnitudine 7, dunque appena fuori dalle possibilità del semplice occhio umano ma perfettamente alla portata di binocoli e piccoli telescopi.


Studiato in dettaglio dal VLT, attraverso SPHERE è stato possibile ottenere un'immagine del pianeta e del suo sistema. Si tratta infatti della prima immagine in assoluto di un pianeta appartenente ad un sistema ternario, oltre che uno tra gli esopianeti più freddi e meno massicci fotografati finora. Ottenere l'immagine di un esopianeta è ancora un lavoro estremamente difficile nonostante ormai se ne conoscano migliaia. 
Ci eravamo meravigliati dei pianeti ribattezzati "Tatooine" in onore del pianeta natale di Luke Skywalker, ovvero quelli che orbitano attorno ad un sistema stellare doppio. Sembravano una rarità fino a pochi anni fa eppure oggi si crede siano molto più diffusi di quanto si pensi visto e considerato il numero crescente di scoperte e soprattutto il fatto che la maggior parte delle stelle si legano in sistemi binari o multipli. I due soli di questi mondi possono creare un perenne giorno, se il tramonto di uno coincide con il sorgere dell'altro, oppure creare albe e tramonti doppi di incredibile bellezza. 
Ma vediamo ora da vicino il nuovo pianeta HD 131399 Ab.


Si tratta di un gigante gassoso con una massa pari a 4 volte quella di Giove che orbita in 550 anni attorno alla componente A, da cui dista 80 UA ( il doppio di quanto dista Plutone dal Sole). Questi dati hanno strabiliato gli astronomi: secondo le attuali teorie, un pianeta così massiccio posto su un'orbita così distante dalla sua stella e sottoposto alla potente influenza gravitazionale di ben tre astri, verrebbe espulso dal sistema rapidamente. Ciò che invece si osserva è che il pianeta gode di ottima salute e percorre un'orbita attualmente stabile, con un'eccentricità stimata in 0.35±0.25.


Le dinamiche sulla sua nascita sono ancora incerte: potrebbe essersi formato su un'orbita più vicina ad A ed aver migrato verso l'esterno successivamente, oppure essersi originato attorno alla coppia BC per poi essere catturato dalla gravità di A. 
Grazie all'osservazione diretta del pianeta è stato possibile stimarne la temperatura, risultata attorno agli 850 K (circa 580°C). Lo strumento IFS (Integral Field Spectrograph), implementato su SPHERE e costruito in Italia, ha permesso di acquisire lo spettro del pianeta e quindi la misurazione della temperatura. 

Essendo un mondo gassoso non possiamo scrutare il cielo dalla sua superficie, ma ipotizziamo per un attimo di poterlo fare: cosa vedremmo nel corso del lunghissimo anno del pianeta? Per un quarto della sua orbita (ovvero 140 anni) il pianeta sperimenterebbe un dì costante con i tre astri nel cielo poichè il sole principale tramonterebbe al sorgere della coppia di soli minori. Ciò accade quando il pianeta si trova tra A e la coppia BC. Col procedere del pianeta lungo l'orbita la distanza apparente del sole principale e della coppia di soli minori nel cielo diminuirebbe progressivamente, generando per la maggior parte dell'anno un'alternanza di dì e notte con albe e tramonti tripli. L'alternanza si ha quando la posizione del pianeta è opposta a quella della coppia BC: in tal caso le tre stelle sarebbero visibili solo durante il dì.


UN NUOVO SISTEMA CON 5 PIANETI


Attorno alla stella HIP 41378, posta a 380 anni luce in direzione della costellazione del Cancro, un team di astronomi ha individuato ben 5 pianeti transitanti. 
Il merito è ancora una volta del telescopio Kepler che, anche in questo caso, dimostra il perfetto recupero dopo la grave avaria del 2013. Kepler ha osservato questa stella per 75 giorni.




La stella è simile al nostro Sole e possiede un raggio ed una massa pari rispettivamente a 1,4 e 1,15 volte quella del Sole. 
I 5 pianeti completano tutti le loro orbite in meno di 1 anno terrestre, formando quindi un sistema planetario molto compatto.
 
Considerando le dimensioni, questo sistema ospita un pianeta gigante gassoso come Giove, uno simile a Nettuno, un altro più piccolo di Saturno e due piccoli nettuni.






Articolo

2.7.16

LA LUCE DI UN MONDO LONTANO

La stella CVSO 30 al centro e il candidato esopianeta
CVSO 30c a sinistra
Non siamo nel sistema solare e neanche tra le stelle vicine al Sole: siamo a ben 1200 anni luce di distanza in direzione della costellazione di Orione!

Là, a ben 11 quadrilioni di km, si trova la giovanissima stella CVSO 30 di appena 2.5 milioni di anni: un astro osservato in dettaglio dall'ESO (European Southern Observatory) e dal VLT (Very Large Telescope).

Per avere un'idea della distanza: la luce che vedete in questa foto ha lasciato quella stella quando sulla Terra papa Leone III incoronava Carlo Magno, nella notte di Natale dell'800 d.C, e viaggiando alla velocità della luce (300.000 km/s) ha impiegato 1200 anni per raggiungerci.



Nonostante sia stato fotografato assieme alla sua stella, il potenziale mondo alieno CVSO 30c attende ancora le conferme del caso e pertanto è da considerarsi un "candidato".
Se venisse confermato, si tratterebbe di un pianeta che ruota a ben 660 UA dalla sua stella, impiegando circa 27000 anni terrestri a completare un'orbita. 

Attraverso il metodo del transito gli astronomi avevano già scoperto il potenziale pianeta CVSO 30b attorno alla medesima stella.
Entrambi i candidati sarebbero dei giganti gassosi come Giove e Saturno ma, a differenza dei nostri compagni di sistema, occupano orbite molto differenti. CVSO 30b, infatti, è talmente vicino alla stella (0,008 UA) da completare il suo anno in appena 11 ore!
Ora gli astronomi cercano di capire come sia possibile l'esistenza di un tale sistema: si ipotizza che in passato i due pianeti giganti possano aver interagito gravitazionalmente causando la migrazione dalle loro orbite originarie. 
Fotografare direttamente un pianeta extrasolare è estremamente complicato. Ad oggi è stata osservata direttamente (direct imaging) solo una manciata di pianeti, a fronte delle migliaia scoperti con il metodo del transito. Ma la tecnologia sta facendo passi da gigante e c'è da scommettere che nel prossimo futuro la fotografia diretta di questi nuovi e lontanissimi mondi darà grandi soddisfazioni!

28.6.16

AMMASSI STELLARI INASPETTATAMENTE RICCHI DI PIANETI


Fino a pochissimi anni fa si pensava che non potessero esistere pianeti all'interno degli ammassi stellari, a causa dell'eccessiva vicinanza tra le stelle che avrebbe generato intense perturbazioni gravitazionali distruggendo eventuali giovani sistemi planetari in formazione. Tali perturbazioni non avrebbero consentito la formazione di un disco protoplanetario e quindi di un successivo sistema planetario stabile. 
Recentemente un team internazionale di astronomi ha studiato a fondo l'ammasso aperto M67, già noto ai cacciatori di pianeti negli ammassi, al fine di verificare quanti e quali pianeti lo abitassero.

Il risultato a cui è giunto il team ha consolidato quanto le evidenze suggerivano negli ultimi anni: anche gli ammassi posseggono numerosi pianeti, molti di più rispetto a quanto stimato in precedenza.


Il team ha studiato per alcuni anni 66 stelle appartenenti all'ammasso stellare aperto M67, che presenta un ambiente simile a quello in cui si sarebbe formato il Sole e di età paragonabile a quella solare.
M67 è un ammasso di circa 500 stelle posto in direzione della costellazione del Cancro, distante 2800 anni luce. 
Monitorando le stelle selezionate con HARPS, gli astronomi hanno cercato segnali della presenza di pianeti del tipo Hot Jupiters, pianeti giganti gassosi vicinissimi alla loro stella e quindi bollenti. Ben tre stelle possiedono pianeti di questo tipo, a fronte di altri candidati ancora da verificare. 
Il 5% delle stelle studiate in M67 presenta pianeti gioviani caldi, una percentuale ben più elevata rispetto all'1% legato a indagini simili su stelle poste fuori dall'ammasso. 
L'ambiente denso di stelle e gravitazionalmente disturbato di un ammasso crea comunque problemi durante la formazione dei pianeti e quindi si pensa che, in una situazione come quella presente in M67, i pianeti si siano formati su orbite più distanti dalla loro stella e successivamente siano migrati (scaldandosi) verso il loro astro, là dove li vediamo oggi.

La domanda che sorge però è la seguente: cosa causa la migrazione di questi pianeti verso orbite più strette? Le risposte possono essere molte, ma quella più condivisa ipotizza che la causa sia da ricercarsi nell'interazione gravitazionale con stelle vicine dell'ammasso durante un loro incontro ravvicinato.

27.6.16

DIMENSIONI REALI ED APPARENTI DEI PIANETI EXTRASOLARI


Per comprendere quanto sia difficile caratterizzare un pianeta extrasolare, osservandone e studiandone ad esempio l'atmosfera, è utile parlare delle dimensioni e delle distanze in gioco. 
Oggi, con un telescopio amatoriale da almeno 25 cm corredato da una buona camera CCD e qualche filtro, è possibile studiare in dettaglio l'atmosfera di Venere, quella Marte, Giove e Saturno. Bisogna considerare però che questi pianeti fanno parte del nostro sistema solare e distano da noi tra le decine di milioni ed il miliardo e mezzo di km: nulla dal punto di vista astronomico. 
Infatti, per quanto un bel cielo terso ci appaia trapuntato di stelle, tra i singoli astri ci sono mediamente svariati anni luce di distanza. Infine dobbiamo considerare che, grazie alla loro vicinanza, distinguiamo nettamente le dimensioni apparenti dei suddetti pianeti e del Sole .

Ma cosa succede se vogliamo compiere studi analoghi su pianeti che orbitano attorno ad altre stelle? 
Vediamo un paio di esempi numerici per avere un'idea di cosa c'è in gioco. 

Da Terra, durante un transito sul disco solare, è possibile osservare "in controluce" lo spessore dell'atmosfera di Venere. Stiamo parlando di uno spessore di circa 80 km osservato da una distanza di poco più di 40 milioni di km, equivalente in rapporto ad un duemilionesimo della distanza tra la Terra e Venere. Ipotizziamo ora che l'esopianeta di tipo terrestre Tau Ceti e, distante solamente 12 anni luce dalla Terra, possieda un'atmosfera spessa almeno 80 km. In questo caso la distanza che separa il nostro pianeta da Tau Ceti e equivale a ben 113528765670960 km (113 mila miliardi di km): lo spessore dell'atmosfera visto da Terra equivarrebbe ad appena 0,0007 miliardesimi della distanza. Insomma, sarebbe come apprezzare lo spessore di un capello da 140 miliardi di km!

Sembra incredibile, ma i più avanzati telescopi attualmente disponibili sono in grado di compiere studi sulle atmosfere di questi mondi lontani. Pur trattandosi di studi ancora primitivi e a bassissima risoluzione, l'imprecisione derivante dai grossi errori che caratterizzano la stima delle dimensioni degli esopianeti e delle loro atmosfere comincia già a farsi sentire. Per ovviare, si mettono a punto procedure sempre più precise e sempre più efficienti soprattutto in vista della nuova generazione di telescopi che nei prossimi anni scriverà nuovi affascinanti capitoli sulla caccia agli esopianeti.

Un team di astronomi dell'Istituto di Ricerche Spaziali dell'Accademia Austriaca delle Scienze, utilizzando il telescopio spaziale CoRoT dell'ESA, ha studiato l'atmosfera delle due superterre CoRoT 24b e CoRoT 24c, distanti 1957 anni luce. Si tratta di due mondi che orbitano attorno alla medesima stella rispettivamente in 5 e 12 giorni e posseggono una massa pari a 4 e 5 volte quella della Terra.
Il più esterno e massiccio, CoRoT 24c, somiglierebbe a Nettuno, mentre quello interno appare molto meno denso, se si considerano le dimensioni simili e la massa quattro volte inferiore.
Per questi due mondi il problema è rappresentato dall'orbita estremamente corta che li vincola ad una distanza molto ridotta dalla loro stella. Gli astronomi hanno calcolato che, se il pianeta meno denso è effettivamente grande come sembra, la sua atmosfera è destinata ad evaporare nello spazio in appena 100 milioni di anni. La stella però ha un età di alcuni miliardi di anni e in queste condizioni il pianeta avrebbe dovuto per perdere l'atmosfera già molto tempo fa. 

Ulteriori studi evidenziano come il pianeta in realtà sia differente da quanto apparso: possiederebbe una atmosfera  tenue ma estesa che circonda un pianeta roccioso compatto di dimensioni reali pari alla metà di quelle stimate in precedenza.
L'errata stima del raggio planetario, ricavato dalle misurazioni effettuate durante la fase di transito sul disco stellare, deriverebbe dall'interferenza generata da strutture poste in alta atmosfera, assimilabili ad importanti velature e nuvolosità presenti in aree di bassa pressione.

Questo studio ha importantissime implicazioni sulla caratterizzazione dei pianeti di piccola massa: sono moltissimi i casi in cui c'è grande incertezza sulle dimensioni reali di un esopianeta e sulla struttura della sua atmosfera. Il team si augura che questo studio aiuti a risolvere le incertezze sui pianeti già noti e rappresenti un monito per una stima più accurata sui nuovi pianeti che verranno scoperti in futuro.