16.1.17

ALFA CENTAURI ED IL FUTURO DELL'ESPLORAZIONE SPAZIALE


Unisci la scoperta di un pianeta extrasolare potenzialmente promettente attorno alla stella più vicina in assoluto al Sole ad un progetto capace di passare dal dominio della fantascienza a quello della scienza in tempi ridotti. Quale garanzia? Il lavoro delle migliori menti e la sovvenzione di lungimiranti sognatori. Risultato? Il primo viaggio interstellare entro questo secolo.

L'indagine approfondita della struttura e della meccanica celeste del sistema stellare più vicino a noi, Alfa Centauri, è diventata una grande priorità. Tanto che l'ESO ha appena firmato un accordo con la Breakthrough Initiatives per adattare niente meno che il Very Large Telescope alla ricerca di pianeti extrasolari nel sistema stellare vicino. 

La Breakthrough Initiatives è un programma di esplorazione scientifica e di sviluppo tecnologico fondato nel 2015 dal filantropo Yuri Milner allo scopo di esplorare il cosmo, ricercare la vita extraterrestre e promuovere un dibattito sulla tematica a livello mondiale. 


L'obiettivo dell'upgrade è la scoperta di eventuali ulteriori pianeti nel sistema di Alfa Centauri verso cui indirizzare una piccola flotta di nanosonde in fase di progettazione nell'ambito del progetto Breakthrough Starshot. 


L'accordo prevede lo stanziamento di fondi per l'upgrade dello strumento VISIR (VLT Imager and Spectrometer for mid-Infrared), montato sul Very Large Telescope dell'ESO in Cile. Ma non solo: viene riservato inoltre un adeguato tempo telescopio per poter condurre una campagna di osservazioni mirate ed approfondite del sistema nel 2019.

Breakthrough Starshot è un progetto da 100 milioni di dollari che mira a portare a termine il primo viaggio interstellare attraverso l'invio di una flotta di nanosonde ultraleggere verso il sistema stellare vicino, il tutto a velocità pari al 20% di quelle della luce e in pochi decenni da oggi.


Ad alimentare questa iniziativa è stata la storica scoperta nel 2016 del pianeta Proxima b, orbitante attorno alla stella più piccola e meno luminosa del sistema stellare triplo di Alfa Centauri, così come la possibilità attuale di unire le forze e le conoscenze per raggiungere questo nuovo traguardo dell'umanità.
Al di là della sfida ingegneristica rappresentata dalla costruzione delle nanosonde, da lanciare a frazioni molto rilevanti della velocità della luce entro i prossimi decenni, il progetto Breakthrough Starshot necessita anzi tutto la conoscenza dell'intero sistema stellare in tutti i suoi aspetti.


Si pensa che l'osservazione del sistema di Alfa Centauri nelle lunghezze d'onda del medio infrarosso possa facilitare la scoperta di pianeti riducendo per quanto possibile l'enorme divario di luminosità che li differenzia dalle loro stelle, milioni di volte più luminose. Dopo essere stato migliorato e reso più sensibile, VISIR si occuperà proprio di queste osservazioni ricorrendo anche all'ausilio delle ottiche adattive e di coronografi di ultima generazione.

Breakthrough Initiatives pagherà gran parte dei costi di sviluppo delle tecnologie mentre l'ESO metterà a disposizione ed organizzerà la campagna osservativa ed il tempo telescopio necessario.


Il miglioramento dello strumento VISIR, nell'ambito dello studio di Alfa Centauri, sarà un perfetto banco di prova per testarne l'efficienza in vista del trasferimento tecnologico e di conoscenze che confluirà nello strumento METIS, montato a bordo del E-ELT. Se tutto andrà secondo i piani, METIS su E-ELT sarà in grado di studiare potenziali pianeti delle dimensioni di Marte in orbita attorno ad Alfa Centauri e ad un gran numero di stelle vicine.

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Breakthrough Initiatives



11.1.17

TW HYDRAE E LA LANCETTA COSMICA

Se fotografare i pianeti extrasolari è ancora un'arte complicata, la ripresa dei dischi protoplanetari ormai sforna capolavori a ripetizione. Essendo posizionati nelle più disparate posizioni rispetto alla nostra linea di vista, questi giovani dischi di gas e polveri ci mostrano tantissimi scorci di un passato lontanissimo che ha vissuto il nostro stesso sistema solare.
I dischi protoplanetari sono per l'appunto la culla dove nascono le stelle ed i sistemi planetari: strutture rotanti di gas e polveri al cui centro si genera l'astro (...o gli astri) e nella cui area più o meno periferica si addensa il materiale che genererà uno o più pianeti.  Nelle loro fasi iniziali di vita però sono composti da gas e polveri finissime investite dalla luce e dalla radiazione emessa dalla neonata stella posta nel mezzo.
Gli astronomi spesso osservano questi dischi di taglio, ovvero apprezzano lo spessore della struttura e la radiazione emessa dai poli della protostella che però rimane eclissata. Talvolta però il caso vuole che la nostra linea di vista sia perpendicolare alla disposizione del disco e quindi è come se lo stessimo guardando dall'alto. In questo caso, a seconda della tecnica osservativa utilizzata, siamo in grado di apprezzare l'intera struttura del disco e cercarne i particolari al suo interno.

TW Hydrae, a 184 anni luce di distanza ed un'età stimata in appena 8 milioni di anni, rientra in quest'ultima categoria di dischi protoplanetari.
Nel disco attorno a questa stella non sono stati fotografati pianeti, ma con ogni probabilità ce n'è uno ci sta indicando la sua presenza in un modo davvero singolare: attraverso l'ombra che proietta nella porzione di disco alle sue spalle.
In realtà non è il singolo pianeta a proiettare l'ombra! Il movimento di rivoluzione del pianeta all'interno della struttura genera disturbi gravitazionali nel materiale costituente la parte più interna del disco, provocando un disallineamento del disco interno rispetto al disco esterno. E' proprio questo disallineamento a produrre l'ombra osservata.
Ancora più interessante è la modalità con cui gli astronomi si sono accorti di tutto ciò. Il team ha studiato 18 anni di riprese e di dati ottenuti dall'Hubble Space Telescope. Il coronografo (ovvero lo strumento che rimuove l'accecante riverbero stellare) a bordo di Hubble ha permesso di riprendere il disco fino a 1,6 miliardi di km dalla stella, all'incirca la distanza che separa Saturno dal Sole. Montando in sequenza 6 immagini prese in questo lungo lasso di tempo, gli astronomi si sono accorti che l'ombra si spostava progressivamente in senso antiorario.
All'inizio gli astronomi pensavano si trattasse di differenze reali nella composizione del disco, ma col passare del tempo avrebbero dovuto notare una distorsione di tale struttura a causa della velocità minore nelle aree esterne del disco e della velocità maggiore in quelle interne. Ciò che è stato osservato è invece uno spostamento rigido per oltre 10 miliardi di km, il che ha fatto ipotizzare che si trattasse di un qualcosa di interno proiettato sul disco esterno.

Considerando i 66 miliardi di km di diametro del disco di TW Hya, il team ha concluso che l'oggetto proiettante l'ombra risiede all'interno del disco a meno di 1,6 miliardi di km dalla stella (e dunque invisibile ad Hubble o ad altri telescopi attuali).

La correttezza della teoria che contempla due porzioni di disco disallineate è avvalorata da osservazioni condotte in banda submillimetrica da ALMA, che ha messo in luce la deformazione del disco interno. 
Considerando il periodo di 15,9 anni che impiega l'ombra a rivoluzionare attorno alla stella, si pensa che il pianeta sia posto ad una distanza di circa 160 milioni di km dall'astro (una distanza molto simile a quella che separa la Terra dal Sole!) ed abbia una massa pari a 3 volte quella di Giove. Date queste premesse, la gravità esercitata dal pianeta sarebbe perfettamente in grado di produrre il disallineamento del disco interno che è stato osservato.
Le ultimissime osservazioni di ALMA hanno trovato pesanti indizi circa la presenza di un pianeta all'interno del disco di TW Hya: è stato individuato un gap nel disco a 14.5 milioni di km dalla stella. Strutture di questo genere sono l'evidenza della presenza di un pianeta in formazione che sta ripulendo la sua orbita dai gas e dalle polveri primordiali, ma è ancora molto complicato individuarli direttamente mentre percorrono la loro orbita.


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9.1.17

ESOCOMETE IN AZIONE SU HD 172555


Semplificando ed escludendo il Sole, nel nostro sistema planetario ci sono tre tipologie di oggetti: pianeti, lune e corpi minori. In quest'ultima categoria rientrano gli asteroidi e le comete. 
Conoscendo ormai centinaia e centinaia di sistemi planetari extrasolari, sappiamo che almeno i pianeti e le comete sono assai comuni anche attorno ad altre stelle. Osservando poi l'attività cometaria in azione da un punto di vista privilegiato, ovvero esterno a quei lontanissimi sistemi, possiamo capire moltissimo del passato del nostro stesso sistema solare attuale e delle dinamiche che lo hanno plasmato in un remotissimo passato, miliardi di anni fa.
Come spesso si è detto in queste pagine la tecnologia attuale è in grado talvolta di scorgere direttamente la presenza di un esopianeta fotografandone la debole luce oppure, laddove ciò non è possibile, attraverso metodi indiretti di vario genere che evidenziano particolari e infinitesime variazioni di posizione e/o luminosità del sistema stellare.
Ma se è così difficile rilevare un pianeta (magari grande svariate volte Giove), com'è possibile osservare comete attorno ad altre stelle? Una cometa è mediamente miliardi e miliardi di volte più piccola e debole di un pianeta.... 
Si osserva infatti l'attività di un gran numero di comete, capace di sconvolgere l'assetto di un sistema planetario o di influenzare la luminosità dell'astro (o degli astri) posti nel centro.

Ma come fare ad osservare questa attività? Si utilizza il metodo più proficuo attualmente disponibile per scoprire i pianeti extrasolari: il metodo del transito. Quando un gran numero di comete transita di fronte alla stella che stiamo osservando, esse generano due eventi: un relativo calo di luminosità della stella e (se si sta facendo un'analisi spettroscopica della luce dell'astro) compaiono ulteriori ed inedite righe di assorbimento nello spettro della stella. Infatti, proprio come accade nel sistema solare, una cometa surriscaldata in rotta di collisione con la sua stella comincia a liberare attorno a sè una chioma e dietro di sè una lunga coda, entrambe di gas e polveri. Questo materiale eccitato emette a particolari lunghezze d'onda e se noi stiamo osservando lo spettro di quel sistema saremo in grado di isolare l'impronta della presenza di questo materiale e del suo comportamento.
Sembrerà incredibile ma ad oggi ciò è stato fatto in ben 11 sistemi planetari (4 confermati e 7 in fase di studio) appartenenti a stelle diverse dal Sole: Beta Pictoris, HR 10, 51 Ophiuchi, HR 2174, 49 Ceti, 5 Vulpeculae, 2 Andromedae, HD 21620, HD 42111, HD 110411 e HD 172555. Ed è proprio di quest'ultimo sistema stellare che parleremo in questo articolo.

La stella HD 172555, situata a 95 anni luce dal Sole in direzione della costellazione del Pavone, ha una massa doppia rispetto a quella solare ed una luminosità circa 10 volte maggiore. L'età è stimata in 23 milioni di anni: l'astro infatti è coevo, simile ed appartiene alla stessa corrente stellare della più famosa Beta Pictoris. 
HD 172555 starebbe avviando un processo di formazione di pianeti rocciosi ma ecco il colpo di scena: attorno alla stella non sono stati rilevati materiali rocciosi consueti composti da silicati, olivina e pirosseni, bensì silicati amorfi e in fase gassosa a circa 70°C (tektite, ossidana, monossido di silicio). 

Si ipotizza che questo particolare materiale sia stato generato dall'impatto ad altissima velocità tra due corpi di massa planetaria (il maggiore di dimensioni analoghe a Mercurio e l'altro minori) alla velocità relativa di almeno 10 km/s. 
Se ciò fosse vero, ulteriori analisi del sistema potrebbero trovare un protopianeta roccioso dalla superficie fusa (se l'evento è accaduto negli ultimi millenni) o comunque confermare altre ipotesi come la possibilità di impatti tra protopianeti in sistemi giovanissimi e la formazioni di oggetti di tale massa in così breve tempo (23 milioni di anni). 
Recenti studi condotti da Hubble, che ha osservato il disco protoplanetario due volte nell'ultravioletto a distanza di sei giorni, hanno evidenziato la presenza di SiO e CO in movimento sulla superficie stellare a 600.000 km/h. La spiegazione più accreditata è che Hubble stia vedendo il gas prodotto dalle comete dopo l'impatto di queste ultime con la superficie stellare. Ulteriori analisi mostrano che tale materiale è ampiamente distribuito di fronte alla stella in grande quantità, rendendone più facile lo studio ed escludendo di fatto che possa trattarsi di un esopianeta roccioso in transito.
Il team di astronomi autore della scoperta sta ora cercando tracce di ossigeno ed idrogeno sul materiale in caduta sulla stella per confermare la natura cometaria del materiale oltre ad evidenze della presenza di uno o più pianeti nel sistema.