16.1.14

TRE NUOVI PIANETI IN M 67: IL PRIMO ATTORNO AD UNA VERA GEMELLA DEL SOLE.

Fino a qualche anno fa la possibilità di andare alla ricerca di pianeti all'interno di ammassi stellari non si sarebbe neanche presa in considerazione: i modelli teorici disponibili dichiaravano impossibile la loro formazione a causa dell'ambiente caotico e del tira-e-molla gravitazionale tra le stelle dell'ammasso.
In termini del tutto generali un ammasso di stelle conta centinaia, migliaia o milioni di stelle racchiuse in un volume di spazio molto piccolo. Gli ammassi aperti sono meno densi di stelle e più rarefatti, gli ammassi globulari sono assai densi e compatti e contano fino ad alcuni milioni di stelle.
Determinante è il legame gravitazionale che accomuna queste stelle. E' questo il 'problema' che hanno incontrato i cacciatori di pianeti teorici e pratici: un pianeta per formarsi ha bisogno di decine di milioni di anni di quiete per addensarsi e stabilizzare la sua orbita e non di un luogo caotico in cui la gravità delle stelle vicine distrugge il disco protoplanetario sottoponendolo al gioco della coperta stretta.
Nel 2013 vennero scoperti i primi pianeti orbitanti attorno a stelle appartenenti ad un ammasso stellare : due stelle dell'ammasso del Presepe ( M 44, circa 1000 stelle poste a 600 anni luce) possedevano ciascuna almeno un pianeta in orbita. I pianeti in questione erano due Hot Jupiters. Seguì la scoperta di ben due pianeti, le due superterre Kepler-66b e Kepler-67b, in orbita attorno a due stelle del vecchio ammasso aperto NGC 6811 (che conta almeno 71 stelle e dista quasi 4000 anni luce), e di un ulteriore pianeta appartenente ad una stella (Epsilon Tauri) dell'ammasso delle Iadi ( circa 500 stelle distanti 150 anni luce).
Dopo aver scoperto pianeti attorno a stelle più o meno simili al Sole facenti parte di un ammasso stellare, la nuova scoperta di questi giorni ci racconta del primo pianeta extrasolare orbitante attorno ad una stella gemella del Sole appartenente all'ammasso aperto M 67.

In realtà sono stati ben 3 i pianeti scoperti attorno a tre stelle (YBP 1514, YBP 1194 e SAND 364) facenti parte dell'ammasso M 67. Distante circa 2800 anni luce, possiede un'età compresa tra i 3.5 ed i 5 miliardi di anni che lo colloca tra i più antichi ammassi aperti della Galassia. Si tratta di un ammasso aperto di circa 500 stelle tra i più studiati dagli astronomi: vista la considerevole età è un laboratorio naturale quasi unico per lo studio dell'evoluzione e delle popolazioni stellari. All'interno di questo ammasso sono state scoperti tre sistemi planetari: due attorno ad astri del tutto simili al nostro Sole ed un terzo attorno ad una gigante rossa.
Gli astronomi hanno monitorato 88 stelle dell'ammasso per circa 6 anni fiduciosi di rilevare il segnale di uno o più transiti.
I primi due pianeti possiedono una massa pari a circa 1/3 di quella del nostro Giove e compiono una rivoluzione attorno alla loro stella rispettivamente in 5 e 7 giorni. Il terzo pianeta impiega 122 giorni ed è grande una volta e mezza Giove.
Il primo pianeta ha conquistato uno storico traguardo: si tratta del primo pianeta orbitante attorno ad una stella appartenente ad un ammasso che è l'esatta copia del nostro Sole. L'astro in questione è praticamente identico al Sole per dimensioni, massa, composizione chimica ed età.

Tutti i pianeti scoperti non rientrano all'interno delle rispettive zone di abitabilità in quanto la loro orbita è troppo vicina all'astro generando temperature troppo elevate nell'atmosfera di questi pianeti.

articolo

8.1.14

GEMINI PLANET IMAGER: VISTA ACUTA ED E' SUBITO MAGIA.

Oggi conosciamo oltre 1000 pianeti extrasolari e altre migliaia sono in attesa di essere confermati. Di quelli noti, una piccolissima percentuale è stata fotografata direttamente tra mille difficoltà ed a bassissima risoluzione. 
Entra ora in gioco una nuova meraviglia dell'ingegno umano: la Gemini Planet Imager (GPI). Si tratta di uno strumento grosso come un'utilitaria che sfrutta quanto di più avanzato oggi è stato creato per la ricerca dei pianeti extrasolari: un telescopio da 8 metri, ottiche adattive, puntamento laser, un avanzatissimo coronografo ed uno spettrografo.
La GPI è accoppiata al Telescopio Gemini South: un telescopio da 8 metri di apertura posto in Cile.
Le ottiche adattive sono costituite da specchi che si deformano all'occorrenza per contrastare all'istante la distorsione dell'immagine generata dalla turbolenza atmosferica. Le più potenti ottiche adattive correggono l'immagine centinaia di volte al secondo. Il risultato è una straordinaria nitidezza delle immagini, paragonabile quasi all'immagine acquisita dallo spazio, senza l'interferenza dell'atmosfera terrestre.
Il puntamento laser fa da guida alle ottiche adattive: il fascio proiettato in cielo dal telescopio analizza gli strati turbolenti dell'atmosfera comunicando la correzione alle ottiche adattive. Inoltre migliora notevolmente la precisione nel puntamento dello strumento.
Il coronografo è uno strumento che per decenni è stato utilizzato su un'unica stella con pianeti: il Sole. Oggi il nostro Sole è solo uno tra le migliaia di soli noti e lo strumento è stato adattato e migliorato per schermare la luce di quelle stelle e permettere così il rilevamento della preziosa luce proveniente dagli esopianeti. Infatti la luce stellare è milioni o miliardi di volte più intensa di quella emessa ( o riflessa) dai pianeti, rendendo arduo l'isolamento del loro segnale. Oggi coronografi avanzati come quello del Gemini sono in grado di isolare quella luce con relativa facilità.
Lo spettrografo del Gemini Telescope, di indicibile sensibilità, riceve la luce del pianeta e la analizza per caratterizzarne l'atmosfera, la composizione, la temperatura ed una miriade si altre proprietà chimico fisiche.
Tutti questi strumenti assieme hanno avuto recentissimamente l'occasione di lavorare assieme generando una prima luce che passerà alla storia. Oggi il 'metodo di caccia' più proficuo è il metodo del transito (che necessita però di un allineamento tra il piano orbitale degli esopianeti e la nostra linea di vista, fatto che genera un passaggio del pianeta di fronte alla sua stella), seguito da altri come 'microlensing gravitazionale' e 'varazione del tempo di emissione di una pulsar' (ed altri ancora). Ma la vera sfida del futuro sarà fotografare direttamente questi pianeti con quanto più dettaglio possibile. Il risultato ottenuto dalla GPI è sicuramente un passo deciso in quel senso, essendo nell'insieme almeno 8 volte più sensibile dei più avanzati sensori oggi disponibili. Guardate il dettaglio: sulla sinistra la foto composita di Europa presa da 3 sonde spaziali (Galileo, Voyager 1 e 2) comparata con ciò che può fare la GPI dalla Terra, a destra.


Gli oggetti scelti per la prima luce del nuovo strumento sono due vecchie conoscenze : il pianeta Beta Pictoris b e il disco di polveri attorno alla stella HR 4796A. 



Grazie all'osservazione nel vicino infrarosso, nonostante il denso disco di polveri orbitante attorno alla giovane stella, è stato possibile isolare l'emissione termica del pianeta. L'emissione è il calore residuo emesso dal processo di formazione, quasi sicuramente ancora in corso.



Ecco il disco di polveri illuminato dalla 
luce della giovane stella HR 4796A.
Gli astronomi ritengono che il disco 
illuminato sia composto da asteroidi e 
comete allontanati verso le zone periferiche del disco a seguito di un processo di formazione planetaria in atto o già concluso.
L'immagine sulla sinistra mostra la visione del sistema il luce infrarossa normale, includendo quindi il disco di polveri e la luce stellare diffusa dalla turbolenza terrestre. L'immagine sulla destra mostra invece la medesima scena solamente in luce polarizzata.

La GPI sarà sicuramente uno di quegli strumenti che rivoluzionerà la caratterizzazione dei pianeti extrasolari del futuro.


6.1.14

KOI-314c : UN PIANETA VERAMENTE 'SOFFICE'

Recentemente presso l'Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics un team di astronomi alla ricerca di esolune ha scovato un pianeta tanto interessante quanto inaspettato.
Attorno alla nana rossa KOI-314, così contrassegnata essendo il 314° Kepler Object of Interest, gli scienziati avevano già scoperto il pianeta KOI-314b di ben 4 masse terrestri e 1.6 volte più grande della Terra. Quello che non si aspettavano di trovare era un altro pianeta con una massa paragonabile a quella terrestre ed una dimensione pari a 1.6 volte quella terrestre. Osservando questi dati ci si è subito resi conto della bassissima densità di questo pianeta:  solo il 30% più denso dell'acqua!
Il calcolo base è semplice: per ottenere la densità si divide la massa del pianeta per il suo volume.
Senza ombra di dubbio KOI-314c detiene ora il titolo di pianeta più leggero tra tutti quei pianeti di cui è stato possibile calcolare la massa e la dimensione. Probabilmente si trattava in origine di un pianeta nettuniano che ha gradualmente perso gran parte degli strati superficiali della sua spessa atmosfera, ora a base di idrogeno ed elio e sensibilmente più sottile.
La temperatura atmosferica è stata stimata in circa 104°C ed il suo anno dura 23 giorni terrestri.
Ma come è stato possibile giungere a questa simpatica scoperta? Il metodo utilizzato è raffinato ed è utilizzabile solo quando oltre al pianeta scoperto e alla stella è presente un terzo corpo che orbita attorno all'astro. Il metodo del TTV (Transit Time Variation, alias 'Variazione del Tempo di Transito) studia le variazioni temporali indotte dall'attrazione gravitazionale reciproca dei due pianeti, proprio come quando generalmente si registrano i disturbi gravitazionali sul moto stellare indotti dalla presenza di un pianeta in orbita attorno al suo astro. In termini ancora più generali si osservano le oscillazioni di un pianeta del sistema e non della stella.
Il metodo utilizzato è stato collaudato recentissimamente, nel 2010, e sarà un metodo imprescindibile nella caccia alle esolune.

http://www.cfa.harvard.edu/news/2014-01

3.1.14

GJ 1214b e GJ 436b : PROSSIMAMENTE MOLTO NUVOLOSO.


Per la prima volta gli astronomi hanno raggiunto la precisione strumentale necessaria per poter indagare la presenza o meno di nubi all'interno di un'atmosfera di un esopianeta. Fino ad oggi la presenza di nubi era solamente frutto della predizione di alcuni modelli teorici o deduzione a seguito di particolari condizioni chimicofisiche messe in evidenza dall'analisi spettrale dell'esoatmosfera.


L'atmosfera appartiene ad un pianeta già conosciuto dagli scienziati in quanto soggetto di numerosissimi altri studi ed è noto col nome di GJ 1214 b. Scoperto nel dicembre 2009, si tratta di una superterra, ovvero un pianeta che possiede una massa intermedia tra quella della Terra e quella di Nettuno.
Anche in questo blog avevamo già parlato di GJ 1214 b anche se il margine di incertezza degli risultati degli studi sulla sua atmosfera divideva gli astronomi tra due interpretazioni dei dati disponibili. La prima propendeva per un'atmosfera sgombra da nubi e composta principalmente da vapore acqueo (o altre molecole pesanti), la seconda invece raccontava di uno spesso strato di nubi posto ad alta quota (che non permetteva di indagare cosa si trovasse al di sotto di esse).


Ebbene un team di astronomi ha ora evidenziato con certezza la presenza di nubi nell'atmosfera del pianeta, utilizzando i dati raccolti dal Hubble Space Telescope.

Il famigerato telescopio ha osservato la luce di GJ 1214 filtrata dall'atmosfera del pianeta per ben 96 ore, spalmate in 11 mesi, collezionando un nuovo record: si tratta del tempo-telescopio più lungo dedicato da Hubble allo studio di un singolo esopianeta.

E' interessantissimo notare come il pianeta in esame sia tra i più vicini al nostro Sole, da cui dista solamente 42 anni luce, in direzione della costellazione di Ofiuco. Si tratta inoltre della superterra più facilmente osservabile da nostro pianeta grazie alla taglia media della sua stella e alla sua vicinanza al nostro pianeta. Il suo anno dura solamente 38 ore, permettendo agli studiosi potenziali analisi continue della sua atmosfera svolte con cadenza molto ravvicinata.

Un ulteriore team di astronomi ha rilevato con estrema accuratezza lo spettro nel vicino infrarosso di GJ 1214 b evidenziando il segnale inequivocabile della presenza di spesse nubi, che infatti nascondono molto bene qualunque segnale proveniente da quote minori o dalla superficie.


Lo stesso studio ha permesso di confermare la presenza di nubi anche su GJ 436 b, un pianeta nettuniano posto a 33,5 anni luce dal Sole (nella costellazione del Leone) ed orbitante attorno ad una nana rossa, al pari di GJ 1214 b. GJ 436 b possiede un anno che dura appena 2 giorni e 15 ore terrestri, utile per compiere studi approfonditi per la caratterizzazione della sua atmosfera.

Questo studio ha spinto le capacità strumentali di Hubble al limite, ma si attendono ulteriori e più approfonditi studi effettuati dal James Webb Space Telescope entro il 2020.


Approfondimenti:

http://www.nasa.gov/press/2013/december/nasas-hubble-sees-cloudy-super-worlds-with-chance-for-more-clouds/
http://www.nature.com/nature/journal/v505/n7481/full/505031a.html
http://www.nature.com/nature/journal/v505/n7481/full/nature12887.html
http://www.nature.com/nature/journal/v505/n7481/full/nature12888.html
http://arxiv.org/abs/1401.0022