28.6.16

AMMASSI STELLARI INASPETTATAMENTE RICCHI DI PIANETI


Fino a pochissimi anni fa si pensava che non potessero esistere pianeti all'interno degli ammassi stellari, a causa dell'eccessiva vicinanza tra le stelle che avrebbe generato intense perturbazioni gravitazionali distruggendo eventuali giovani sistemi planetari in formazione. Tali perturbazioni non avrebbero consentito la formazione di un disco protoplanetario e quindi di un successivo sistema planetario stabile. 
Recentemente un team internazionale di astronomi ha studiato a fondo l'ammasso aperto M67, già noto ai cacciatori di pianeti negli ammassi, al fine di verificare quanti e quali pianeti lo abitassero.

Il risultato a cui è giunto il team ha consolidato quanto le evidenze suggerivano negli ultimi anni: anche gli ammassi posseggono numerosi pianeti, molti di più rispetto a quanto stimato in precedenza.


Il team ha studiato per alcuni anni 66 stelle appartenenti all'ammasso stellare aperto M67, che presenta un ambiente simile a quello in cui si sarebbe formato il Sole e di età paragonabile a quella solare.
M67 è un ammasso di circa 500 stelle posto in direzione della costellazione del Cancro, distante 2800 anni luce. 
Monitorando le stelle selezionate con HARPS, gli astronomi hanno cercato segnali della presenza di pianeti del tipo Hot Jupiters, pianeti giganti gassosi vicinissimi alla loro stella e quindi bollenti. Ben tre stelle possiedono pianeti di questo tipo, a fronte di altri candidati ancora da verificare. 
Il 5% delle stelle studiate in M67 presenta pianeti gioviani caldi, una percentuale ben più elevata rispetto all'1% legato a indagini simili su stelle poste fuori dall'ammasso. 
L'ambiente denso di stelle e gravitazionalmente disturbato di un ammasso crea comunque problemi durante la formazione dei pianeti e quindi si pensa che, in una situazione come quella presente in M67, i pianeti si siano formati su orbite più distanti dalla loro stella e successivamente siano migrati (scaldandosi) verso il loro astro, là dove li vediamo oggi.

La domanda che sorge però è la seguente: cosa causa la migrazione di questi pianeti verso orbite più strette? Le risposte possono essere molte, ma quella più condivisa ipotizza che la causa sia da ricercarsi nell'interazione gravitazionale con stelle vicine dell'ammasso durante un loro incontro ravvicinato.

27.6.16

DIMENSIONI REALI ED APPARENTI DEI PIANETI EXTRASOLARI


Per comprendere quanto sia difficile caratterizzare un pianeta extrasolare, osservandone e studiandone ad esempio l'atmosfera, è utile parlare delle dimensioni e delle distanze in gioco. 
Oggi, con un telescopio amatoriale da almeno 25 cm corredato da una buona camera CCD e qualche filtro, è possibile studiare in dettaglio l'atmosfera di Venere, quella Marte, Giove e Saturno. Bisogna considerare però che questi pianeti fanno parte del nostro sistema solare e distano da noi tra le decine di milioni ed il miliardo e mezzo di km: nulla dal punto di vista astronomico. 
Infatti, per quanto un bel cielo terso ci appaia trapuntato di stelle, tra i singoli astri ci sono mediamente svariati anni luce di distanza. Infine dobbiamo considerare che, grazie alla loro vicinanza, distinguiamo nettamente le dimensioni apparenti dei suddetti pianeti e del Sole .

Ma cosa succede se vogliamo compiere studi analoghi su pianeti che orbitano attorno ad altre stelle? 
Vediamo un paio di esempi numerici per avere un'idea di cosa c'è in gioco. 

Da Terra, durante un transito sul disco solare, è possibile osservare "in controluce" lo spessore dell'atmosfera di Venere. Stiamo parlando di uno spessore di circa 80 km osservato da una distanza di poco più di 40 milioni di km, equivalente in rapporto ad un duemilionesimo della distanza tra la Terra e Venere. Ipotizziamo ora che l'esopianeta di tipo terrestre Tau Ceti e, distante solamente 12 anni luce dalla Terra, possieda un'atmosfera spessa almeno 80 km. In questo caso la distanza che separa il nostro pianeta da Tau Ceti e equivale a ben 113528765670960 km (113 mila miliardi di km): lo spessore dell'atmosfera visto da Terra equivarrebbe ad appena 0,0007 miliardesimi della distanza. Insomma, sarebbe come apprezzare lo spessore di un capello da 140 miliardi di km!

Sembra incredibile, ma i più avanzati telescopi attualmente disponibili sono in grado di compiere studi sulle atmosfere di questi mondi lontani. Pur trattandosi di studi ancora primitivi e a bassissima risoluzione, l'imprecisione derivante dai grossi errori che caratterizzano la stima delle dimensioni degli esopianeti e delle loro atmosfere comincia già a farsi sentire. Per ovviare, si mettono a punto procedure sempre più precise e sempre più efficienti soprattutto in vista della nuova generazione di telescopi che nei prossimi anni scriverà nuovi affascinanti capitoli sulla caccia agli esopianeti.

Un team di astronomi dell'Istituto di Ricerche Spaziali dell'Accademia Austriaca delle Scienze, utilizzando il telescopio spaziale CoRoT dell'ESA, ha studiato l'atmosfera delle due superterre CoRoT 24b e CoRoT 24c, distanti 1957 anni luce. Si tratta di due mondi che orbitano attorno alla medesima stella rispettivamente in 5 e 12 giorni e posseggono una massa pari a 4 e 5 volte quella della Terra.
Il più esterno e massiccio, CoRoT 24c, somiglierebbe a Nettuno, mentre quello interno appare molto meno denso, se si considerano le dimensioni simili e la massa quattro volte inferiore.
Per questi due mondi il problema è rappresentato dall'orbita estremamente corta che li vincola ad una distanza molto ridotta dalla loro stella. Gli astronomi hanno calcolato che, se il pianeta meno denso è effettivamente grande come sembra, la sua atmosfera è destinata ad evaporare nello spazio in appena 100 milioni di anni. La stella però ha un età di alcuni miliardi di anni e in queste condizioni il pianeta avrebbe dovuto per perdere l'atmosfera già molto tempo fa. 

Ulteriori studi evidenziano come il pianeta in realtà sia differente da quanto apparso: possiederebbe una atmosfera  tenue ma estesa che circonda un pianeta roccioso compatto di dimensioni reali pari alla metà di quelle stimate in precedenza.
L'errata stima del raggio planetario, ricavato dalle misurazioni effettuate durante la fase di transito sul disco stellare, deriverebbe dall'interferenza generata da strutture poste in alta atmosfera, assimilabili ad importanti velature e nuvolosità presenti in aree di bassa pressione.

Questo studio ha importantissime implicazioni sulla caratterizzazione dei pianeti di piccola massa: sono moltissimi i casi in cui c'è grande incertezza sulle dimensioni reali di un esopianeta e sulla struttura della sua atmosfera. Il team si augura che questo studio aiuti a risolvere le incertezze sui pianeti già noti e rappresenti un monito per una stima più accurata sui nuovi pianeti che verranno scoperti in futuro.

22.6.16

ATTRAZIONE QUASI FATALE?

Il suo nome provvisorio è PTF08-8695 B ed è (molto probabilmente) un giovanissimo pianeta gigante gassoso. Si tratta un candidato in attesa di conferma dal 2012, anno in cui è stato scoperto dal programma Palomar Transient Factory (PTF), attivo presso il Palomar Observatory in California e dedicato allo studio delle sorgenti variabili e transienti in banda ottica.

Situato a 1100 anni luce in direzione della costellazione di Orione, l'esopianeta orbita in sole 11 ore attorno ad una stella di appena 2-3 milioni di anni di età. Questa condizione sottopone il pianeta a sollecitazioni mareali e termiche estreme. Non conoscendo ancora in dettaglio la massa (ragionevolmente stimata in due masse gioviane), si può ipotizzare che il pianeta si sia formato su un'orbita più esterna e che sia progressivamente migrato verso la stella. 

Il team di astronomi che sta studiando questo sistema si è accorto di un eccesso di emissione nella riga H-alfa, evidenza della presenza di atomi di idrogeno ionizzato. Fin qui nulla di ecclatante, se non fosse per l'origine legata a due oggetti distinti del segnale: l'emissione proveniva dalla stella e da un corpo in orbita attorno ad essa.
Ulteriori studi hanno evidenziato il perfetto sincronismo tra il periodo orbitale del presunto pianeta e quello della componente di emissione H-alfa in movimento. Ciò ha permesso di attribuire con certezza all'oggetto in orbita una parte dell'emissione rilevata e, grazie al transito, stimarne la dimensione pari al 3-4% di quella stellare.
Analizzando le variazioni della velocità radiale legate all'eccesso dell'emissione H-alfa proveniente dal pianeta è stato possibile porre un limite superiore alla massa della stella (circa 0,5 volte quella del Sole) e del pianeta (4,5 volte quella di Giove).

Ma le sorprese non terminano qui: com'è possibile che l'emissione H-alfa proveniente dal pianeta sia
intensa quasi quanto quella proveniente dalla sua stella?

Non essendo questo possibile, si ipotizza che l'emissione totale dell'oggetto in orbita non derivi dal solo pianeta ma bensì da un'area ben più ampia. Dunque l'ipotesi più ragionevole è quella che vede un'ingente perdita di atmosfera da parte del giovane pianeta, strappata dall'intensa gravità stellare che la preleva dal pianeta e la fa precipitare sulla superficie stellare. Questo lungo ponte di idrogeno ionizzato sarebbe il responsabile della potente e ben evidente emissione da parte dell'oggetto in orbita attorno alla stella.
Al momento non si conosce ancora il tasso di evaporazione dell'atmosfera dell'esopianeta e quello di trasferimento del gas verso la superficie stellare, quindi non è possibile determinare quanto tempo rimanga al pianeta. Di sicuro la gravità stellare ha preso il sopravvento sull'esopianeta, che non riesce più a trattenere la sua atmosfera.

20.6.16

COME TATOOINE, MA MOLTO PIU' GRANDE!


Nella costellazione del Cigno, a ben 3700 anni luce da noi, c'è una coppia di soli che ospita un pianeta: Kepler 1647b.

A differenza del mondo natale di Luke Skywalker di Star Wars, questo pianeta è un gigante gassoso di dimensioni e massa paragonabili a quelle del nostro Giove.

Le osservazioni, condotte dal telescopio spaziale Kepler, sono state lunghe e difficili a causa della natura binaria del sistema stellare e dell'orbita del pianeta che impiega ben 3 anni (1107 giorni) a completarsi.
Infatti isolare il segnale del pianeta, nel suo lentissimo procedere, dall'intensa luminosità dei suoi due soli non è certo cosa semplice. Rilevare un pianeta che orbita attorno alla sua stella è tutto sommato semplice: ci si aspetta che ad ogni orbita il pianeta torni a perturbare o a transitare sulla stella con cadenza regolare. Ma se le stelle sono due (o addirittura tre o più...) la cosa si complica notevolmente: le curve di luce dei transiti variano in intensità, durata e regolarità poichè va considerato anche il moto interno delle due stelle!

Alcuni tra i pianeti circumbinari noti, dal più piccolo al più grande
Oggi si conoscono 22 pianeti circumbinari, ovvero orbitanti attorno a due soli; spesso vengono soprannominati "Tatooine" in onore dell'intuizione fantascientifica che, come spesso accade, anticipa le scoperte scientifiche....come a convalidare la diceria secondo cui "se siamo in grado di immaginarlo, allora da qualche parte e in qualche tempo nell'universo esiste o è esistito".



Il pianeta ha un'età stimata di 4.4 miliardi di anni, dunque analoga a quella della Terra, ed i suoi soli sono uno di dimensioni appena maggiori del Sole e l'altro appena minori. 

Kepler 1647b detiene attualmente due record.
La sua stazza, all'incirca uguale a quella di Giove, lo rende il pianeta circumbinario più grande attualmente scoperto; inoltre possiede il periodo di rivoluzione più lungo tra i pianeti scoperti con il metodo del transito.

L'orbita di Kepler 1647b in rosso, quella
della Terra in viola e quella di tutti i
pianeti circumbinari noti in grigio.
C'è un'ultima grande sorpresa che rende questo pianeta degno di nota. La distanza dai suoi soli (la maggiore tra i pianeti circumbinari scoperti) lo posiziona nella zona abitabile del sistema. Naturalmente la natura gassosa del pianeta rende la presenza di vita estremamente improbabile, ma tutta l'attenzione è concentrata su possibili grandi lune in orbita attorno al pianeta (anch'esse ovviamente all'interno della fascia abitabile). Come le scoperte degli ultimi anni legate al nostro sistema solare ci insegnano, le lune sono luoghi promettenti su cui cercare la vita tanto quanto i pianeti.... forse addirittura di più!

Articolo

10.6.16

UN GIOVANISSIMO GIGANTE

Osservando le età degli oltre 3300 pianeti extrasolari oggi noti, ci rendiamo conto che la Terra ed i pianeti del sistema solare sono tra i più antichi con i loro 4-5 miliardi di anni. 
Fino ad alcuni anni fa infatti si pensava che un pianeta impiegasse miliardi di anni per formarsi e raggiungere una situazione di equilibrio. Con l'aumentare del numero di pianeti extrasolari scoperti ed attraverso studi sempre più raffinati, ci si è resi conto che i pianeti si formano in realtà in pochissimi milioni di anni! 
Le ricerche degli astronomi si sono quindi concentrate sul porre un limite inferiore al tempo che impiega un pianeta  formarsi.
Precedentemente, avendo solo il sistema solare come punto di partenza e di confronto, era naturale ipotizzare una lunga gestazione per un pianeta. In seguito, l'osservazione diretta di centinaia di sistemi planetari di età differenti ha permesso di ricostruire l'intera sequenza, dalla formazione alla stabilizzazione del sistema. 
Grazie alle osservazioni i miliardi di anni divennero milioni. Fino a pochissimo tempo fa si pensava che un pianeta gigante gassoso come il nostro Giove impiegasse almeno 10 milioni di anni per formarsi, ma una nuova scoperta ha ridotto drasticamente questi tempi. 
La ricerca di astri giovanissimi che potessero far luce sulle dinamiche e sui tempi di formazione dei pianeti ha portato l'attenzione degli astronomi sulla stella CI Tau, posta a 450 a.l. nella costellazione del Toro. 
Questa stella ha appena 2 milioni di anni ma possiede attorno a sè un pianeta gassoso 8 volte più grande di Giove. Il pianeta, scoperto col metodo della velocità radiale, impiega 9 giorni per compiere una rivoluzione.
Attualmente CI Tau b è il pianeta più giovane che si conosca!