30.5.17

PDS 110 E I SATURNI EXTRASOLARI


Gli anelli attorno ai pianeti giganti gassosi del nostro sistema planetario hanno generato da sempre una grande meraviglia in chi li ha osservati.
Nel sistema solare il Signore degli Anelli per eccellenza è Saturno, eppure sistemi analoghi di anelli (sebbene più deboli e meno estesi) sono presenti attorno a Giove, Urano e Nettuno. 
Sembra incredibile ma recentemente sono stati scoperti almeno due anelli attorno all'asteroide 10199 Chariklo, grande appena 250 km, una scoperta tanto inaspettata quanto emozionante per chi viaggia con la fantasia.

Dunque gli anelli planetari sono molto comuni nel sistema solare e potrebbero esserlo anche quelli asteroidali.

Dopo aver scoperto migliaia di pianeti attorno ad altre stelle, viene naturale domandarsi se pianeti come il nostro Saturno siano comuni anche attorno ad altre stelle. A livello puramente statistico la risposta è certamente si: tra tutti questi pianeti extrasolari abbiamo classificato pianeti terrestri, pianeti gioviani, pianeti nettuniani, ed addirittura superterre, una tipologia di pianeta che nel nostro sistema è assente! Allora si è partiti alla ricerca di questi gemelli di Saturno, ma come fare? 
L'unico metodo conosciuto e utile allo scopo è quello del transito. Bisogna solo sperare che attorno a qualche stella osservabile dalla Terra, lungo la nostra stessa linea di vista, nell'esatto momento in cui osserviamo, un gemello di Saturno eclissi momentaneamente la sua stella.
Sembra un'impresa impossibile eppure migliaia di pianeti sono stati scoperti proprio così. 
Ma come fare a distinguere un pianeta gioviano da uno saturniano? Bisogna trovare un grosso sistema di anelli. 
Ed è proprio a questo punto che il metodo con cui è stato rilevato l'asteroide 10199 Chariklo fa scuola.
Si è atteso che l'asteroide transitasse di fronte ad una stella sullo sfondo, creando un vero e proprio eclisse. Se durante un evento di questo genere il nostro occhio rileva un momentaneo calo di luminosità (parziale o totale), i sensori applicati ad un telescopio rilevano una curva di luce. 
Una curva di luce non è altro che un grafico che mostra l'andamento della luminosità in funzione del tempo che passa. Se davanti ad una stella non transita nulla, a meno di fenomeni intrinseci dell'astro, la sua luminosità rimane costante nel tempo e la sua curva di luce apparirà come una retta parallela all'asse x del grafico; viceversa assisteremo ad un calo di luminosità proporzionale per durata ed entità alla dimensione dell'oggetto in transito. Quindi, nel caso dell'oggetto in transito, la curva di luce assumerà una caratteristica forma concava: la luminosità comincerà a calare nel momento in cui l'oggetto transita di fronte al disco stellare, raggiungerà un minimo quando l'oggetto sarà interposto tra noi osservatori e la stella, infine la luminosità tornerà ad aumentare fino ai livelli consueti alla fine del transito. La profondità della curva e la sua ampiezza sono proporzionali alla dimensione dell'oggetto ed alla durata del transito.

Torniamo agli anelli e a come scovarli con il metodo del transito. Un oggetto sferico e ben definito in transito produrrà una singola curva di luce dai contorni ben delineati. Ma se  l'oggetto in transito è dotato di anelli la sua curva di luce ne recherà i segni. Nei primi istanti del transito la luce stellare alle sue spalle non sarà affievolita immediatamente dal pianeta, bensì dalla porzione degli anelli che deborda dalla silhouette del pianeta, poi dal pianeta e nuovamente dagli anelli posti dal lato opposto. 
In una curva di luce tutto ciò si traduce in un primo calo di minore entità che anticipa il calo vero e proprio dovuto al pianeta, che a sua volta anticipa un secondo calo più debole. I due cali minori naturalmente saranno di pari entità ed equidistanti dal calo principale dovuto al pianeta. 
Questo è quanto è stato osservato durante il transito di Chariklo ed è quello che ci si aspetta dal transito di un Saturno extrasolare. 
Tra le migliaia di pianeti extrasolari noti, solamente due potrebbero essere dei gemelli di Saturno. 
Il primo, J1407b, è stato scoperto nel 2012, attorno ad una nana arancione a 434 a.l.,  e mostrerebbe queste caratteristiche ma è stato possibile effettuare una sola osservazione e la prossima potrebbe essere attorno al 2020. 
Il secondo orbita attorno alla stella PDS 110 ed ha una storia più travagliata. Alcuni anni fa gli astronomi del team WASP avevano notato quella che sembrava una strana nebbia attorno alla stella, ma nulla fu fatto per i successivi due anni, fino a quando si notò che altri e diversi strumenti avevano rilevato il medesimo segnale. A questo punto qualcosa doveva essere in orbita attorno alla stella PDS 110, qualcosa che affievoliva la sua luce per ben 25 giorni, un tempo molto più lungo di un normale transito planetario. 
Dal profilo della curva di luce gli astronomi hanno ipotizzato possa trattarsi di un gigante gassoso, di dimensioni superiori a quelle di Giove, con un sistema di anelli esteso per circa 50 milioni di km,
ovvero 200 volte quello di Saturno. Il pianeta si starebbe muovendo all'interno di un disco di gas e polveri costituito dal materiale avanzato dalla formazione stellare. La cosa interessante è che, a differenza della ampia orbita descritta da J1407b, il pianeta attorno a PDS 110 dovrebbe transitare nuovamente di fronte alla sua stella nel settembre di quest'anno. Un'orbita quindi molto più corta che permetterà agli astronomi, in collaborazione con una folta schiera di astrofili, di sapere con certezza se siamo di fronte ad un nuovo Saturno o meno. Infatti una o due osservazioni non bastano per essere certi di un transito: per fugare ogni dubbio servono almeno tre osservazioni che riportino tutte i medesimi risultati.
Altro aspetto interessante è la disposizione degli anelli: se quelli di Saturno sono adagiati sul piano orbitale del pianeta, quelli di PDS 110b potrebbero essere fortemente inclinati e quindi sporgere dal disco di gas e polveri che circonda la stella.  Se così fosse, ma non è affatto detto, potrebbero essere gravitazionalmente disturbati dalla presenza del materiale circumstellare, dando vita a forme inedite.
Va detto anche, per completezza, che quanto osservato potrebbe addirittura non essere affatto un pianeta con gli anelli, bensì un momentaneo accumulo di materiale nel disco che, perturbando con la sua massa il materiale circostante, lo innalza momentaneamente dal disco.
Ciò nonostante il team di scopritori si dice fortemente convinto che si tratti di un nuovo Saturno e che la prossima osservazione lo dimostrerà. In attesa di dati certi, l'immaginazione è già all'opera.


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25.5.17

NOVITA' GLACIALI PER TRAPPIST-1h


Grazie ai suoi 7 mondi, di cui 3 posti nella fascia abitabile, la scoperta del sistema planetario attorno alla stella TRAPPIST-1 ci ha fatto sognare. Ma siamo davvero solo all'inizio e molto resta ancora da scoprire e da comprendere.
Come giustamente diceva qualche sera fa un bravissimo conferenziere al Planetario di Milano, proprio parlando delle novità riguardanti questo sistema, non bisogna mai fermarsi ai momenti euforici dell'annuncio pubblico di una scoperta! I dati che ci permettono davvero di avere un quadro il più possibile completo e veritiero di ciò che osserviamo vengono studiati e pubblicati continuamente anche e soprattutto dopo l'annuncio giornalistico. 


E il caso di TRAPPIST-1 non fa certo eccezione! Dopo gli aggiornamenti degli scorsi articoli, in questo parleremo del mondo più lontano e sconosciuto tra i 7: TRAPPIST-1h. 
Un team di astronomi delle Università di Washington e Berna si è concentrato sul pianeta osservandolo per ben 60 ore consecutive con l'obiettivo di determinare con certezza i suoi parametri orbitali, precedentemente assai poco noti.

Già in precedenza avevamo accennato all'estrema vicinanza dei pianeti tra di loro ed alle possibili risonanze orbitali che questa vicinanza genererebbe. E proprio come accade nel sistema solare le risonanze stabilizzano e circolarizzano le orbite evitando scontri o espulsioni dall'orbita. 
Più tecnicamente: i periodi di rivoluzione attorno alla stella sono in rapporto fra loro secondo frazioni di numeri interi.
I sensori di del telescopio spaziale Kepler si sono occupati della raccolta dei dati necessari. Evidenziando e confermando le risonanze orbitali tra i 6 pianeti interni, calcolare i parametri orbitali del pianeta h è stato più semplice. Si è visto infatti che ogni due rivoluzioni di h, g ed f ne completano rispettivamente 3 e 4. Le osservazioni hanno confermato la teoria. Sapendo questo è stato quindi possibile calcolare il periodo di rivoluzione di h in 18 giorni, 18 ore, 20 minuti e 10 secondi.

Ma le scoperte non si sono fermate alla sola durata dell'anno di TRAPPIST-1h.

E' stato possibile stimare la temperatura di equilibrio del pianeta, risultata essere di -104°C (169 K), ed il raggio di poco inferiore a quello terrestre (0.727 R⊕).
Considerando la radiazione stellare incidente sul pianeta si è visto che essa risulta insufficiente per mantenere acqua liquida in superficie, ma sarebbe possibile un oceano di acqua liquida sotto uno strato di ghiaccio superficiale. Lo spessore di tale strato dipende dal calore sviluppato dall'interno del pianeta ma potrebbe ragionevolmente essere dell'ordine dei 3 km. 
Va detto che alcuni modelli che prevedono un'atmosfera ricca di idrogeno, azoto ed anidride carbonica, genererebbero un effetto serra sufficiente a mantenere dell'acqua liquida in superficie.
Considerando il raggio e le possibili composizioni del pianeta, la massa di h sarebbe compresa tra e 0.067–0.863 M⊕; per una composizione terrestre il pianeta presenterebbe una massa di 0.33 M⊕. 
C'è stato anche spazio per alcune novità provenienti dalla stella: il suo periodo di rotazione pari a 3.3 giorni ed un'età maggiore dei 500 milioni di anni precedentemente attribuiti. Quest'ultimo dato è stato rivisto considerando l'attività stellare, risultata minore del previsto. A differenza di molte altre nane rosse che illuminano altri sistemi planetari, TRAPPIST-1 risulta stabile e dall'attività non violenta, sebbene siano stati rilevati alcuni flare a bassa energia.


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22.5.17

UN'ALTRA SUPERTERRA VICINA


Se consideriamo le migliaia di pianeti extrasolari che conosciamo oggi, ci viene da sorridere pensando che solamente 30 anni fa gli unici pianeti noti nell'intero universo erano quelli del nostro sistema solare. 
La crescita ormai esponenziale del numero di scoperte di nuovi pianeti va di pari passo con l'avanzamento tecnologico che ci permette di osservare sempre più in dettaglio.
Di questa felice tendenza è testimone l'ultima scoperta, che ci fa conoscere una superterra ad appena 21.2 anni luce dal nostro sistema solare, un nulla in termini astronomici. Un mondo speciale che, con ulteriori studi ed osservazioni, potrebbe riservare anche qualche sorpresa. 
Poichè il piano orbitale del pianeta attorno alla sua stella non coincide con la nostra linea di vista, il pianeta non si trova a transitare di fronte alla sua stella come la maggior parte dei pianeti extrasolari che conosciamo oggi, dunque per scoprirlo e studiarlo è inutile il metodo del transito. Fondamentale invece per scovarlo è stato il metodo della velocità radiale, che evidenzia la perturbazione gravitazionale prodotta dalla presenza dell'invisibile pianeta sulla sua stella. 
C'è tanta Italia in questa scoperta, effettuata con il nostro Telescopio Nazionale Galileo (TNG) alle Canarie che monta HARPS-N, uno degli spettrometri più sensibili al mondo e veterano come scopritore di nuovi mondi.
Il nuovo pianeta, battezzato GJ 625b (o Gliese 625b), è un mondo roccioso posto al limite della fascia di abitabilità della sua stella. Con la sua massa pari a 2.8 volte quella del nostro pianeta, il nuovo mondo rientra nella ormai numerosa classe delle superterre.
La sua stella, GJ 625 (o Gliese 625, mv:+10.2 nel Drago), è una nana rossa ed è stata osservata per ben 3 anni dagli astronomi, proprio per evidenziare la presenza di anomalie gravitazionali (anomalie nella velocità radiale) che indicassero la presenza di uno o più pianeti in orbita. Grazie a 151 spettri raccolti da HARPS-N si è potuto stimare il periodo orbitale, pari a 14 giorni. Il pianeta ruota a 0.08 UA dal suo sole.
Come accennato, il pianeta si trova a ridosso del limite interno della fascia di abitabilità della sua stella e quindi potrebbe ospitare acqua liquida in superficie, ma molto dipende dalla sua atmosfera e dal suo periodo di rotazione. Entrambi i fattori giocano un ruolo chiave nel determinare la temperatura superficiale del pianeta ed in ultima istanza la sua possibile abitabilità.



SEMPRE MENO SEGRETI ATTORNO A FOMALHAUT

Fomalhaut è una delle stelle più brillanti dell'intero cielo, la più luminosa della sua costellazione: il Pesce Australe. Simile a Sirio e Vega, dista da noi 25 anni luce e ha una massa ed una dimensione doppia rispetto al Sole. Risulta però sensibilmente più calda con i suoi 8500 K.
Al di là della sua luminosità, c'è molto interesse per questa stella in quanto ospita attorno a sé un estesissimo disco di gas e polveri in cui orbita Fomalhaut b, il primo pianeta extrasolare scoperto grazie ad un'osservazione diretta.

La presenza del disco fu intuita per la prima volta grazie ai dati raccolti dal telescopio spaziale IRAS nel 1983 che osservando la stella e le sue immediate vicinanze rivelarono un eccesso di radiazione infrarossa. Nel 1998 il sistema fu osservato nelle lunghezze d'onda millimetriche e submillimetriche, mettendo il luce il disco e l'estesa cavità centrale. 
La svolta però si ebbe nel 2005 quando, grazie al coronografo ed all'osservazione ad altissima risoluzione (0.5 UA per pixel) nel visibile, Hubble fece un ritratto completo al disco di gas e polveri. 
Ciò che emerse fu un disco ellittico di 140 x 57.5 UA, con una fascia di materiale asteroidale e cometario estesa 25 UA tra le 133 e le 158 UA da Fomalhaut, stella a sua volta posta a 15.3 UA dal vero centro del disco. Lo spessore massimo del disco risultò essere di 3.5 UA per una massa totale compresa tra le 50 e le 100 masse terrestri. 
Dalle analisi spettroscopiche si comprese che il disco era composto prevalentemente da ghiaccio d'acqua e silicati, seguiti da composti del ferro e del carbonio; il tutto ad una temperatura compresa tra 40 e 75 K.
Questo e poco altro è tutto ciò che si è saputo fino ad oggi di Fomalhaut e del suo disco di polveri. Tra le recenti novità è da citare senza dubbio quella riguardante la natura tripla del sistema stellare di Fomalhaut.
Ma recentemente sono state effettuate nuove osservazioni da ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array). E' stato così possibile ottenere per la prima volta l'immagine più dettagliata di sempre dell'intero sistema. 
Facendo l'analisi spettroscopica di questi detriti gli astronomi hanno trovato analogie tra quel materiale e quello cometario presente nel sistema solare; hanno anche evidenziato come il sistema stia attraversando una fase analoga al late heavy bombardment subita dal giovane sistema solare, quando i detriti rimanenti dalla formazione del sistema colpirono incessantemente il neonato sistema planetario. Grazie a questi studi è stato possibile stimare l'età del sistema in 440 milioni di anni, circa 1/10 dell'età del sistema solare. 
Gli studi più recenti di ALMA hanno ridotto l'estensione della fascia di detriti a circa 13.5 UA (2 miliardi di km), a partire da 136.3 UA dalla stella. La massa contenuta all'interno della fascia è stata stimata in 0.015 masse terrestri. Tali evidenze hanno portato gli astronomi a credere che tale fascia sia plasmata dall'azione gravitazionale di almeno due pianeti, proprio come accade agli anelli di Saturno sotto l'azione di alcune sue lune.
Un'altra grande novità legata a questo studio è stata la possibilità di osservare un fenomeno che fino ad oggi era stato solo predetto: il bagliore dell'apocentro. Seguendo quanto dice il buon Keplero nella sua seconda legge, il materiale contenuto nella fascia di detriti dovrebbe rallentare in direzione dell'apocentro e raggiungere la minore velocità, ammassandosi momentaneamente, in quel punto. Se ciò e vero, e lo è, all'apocentro dovremmo trovare una maggiore concentrazione di materiale che rende questa particolare area più densa e luminosa. Ebbene, grazie a questo bagliore, è stato possibile determinare che l'abbondanza di monossido di carbonio ed anidride carbonica è analoga a quella presente nelle comete del nostro sistema solare.


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19.5.17

KELT-11b: IL PIANETA ESPANSO

Attorno alla stella KELT-11, distante 320 anni luce dal Sole, è stato scoperto nel 2016 un pianeta davvero bizzarro: un gigante gassoso con una densità estremamente bassa, simile a quella del polistirolo!
Il pianeta è stato individuato tra le 5 milioni di stelle scandagliate dal Kilodegree Extremely Little Telescope, grazie al transito che compie periodicamente attorno al suo sole.
Anche il telescopio spaziale Spitzer ha osservato il transito del pianeta alla lunghezza d'onda di 3.6µm.
Ma come è stato possibile calcolare la densità di questo mondo lontano? Grazie al metodo con cui è stato scoperto siamo in grado di ricavare il volume del pianeta, direttamente proporzionale alla quantità di luce stellare che scherma durante il passaggio davanti alla sua stella. La massa è stata stimata dai parametri orbitali noti e dai dati del transito.
Per ottenere la densità del pianeta, un parametro fondamentale per comprendere la composizione e la struttura di un pianeta, basta fare massa/volume. 
Ed è proprio a questo punto che KELT-11b ha meravigliato gli astronomi: con un volume superiore a quello di Giove del 40% ed una massa pari appena ad 1/5 di quella gioviana si ottiene una densità estremamente bassa: 0.093 g cm3
La luminosità della stella (mv 8.0) permette di compiere misurazioni atmosferiche precise, utili anche ad affinare le tecniche di indagine delle atmosfere extrasolari. Si è visto in particolare che la sua atmosfera è spessa addirittura 2763 km, rendendolo di fatto uno dei pianeti più gonfi che si conoscano.
Ma la stella ha già intrapreso il percorso che la porterà entro 100 milioni di anni a diventare una gigante rossa e quando raggiungerà questo nuovo stadio per KELT-11b non ci sarà più nulla da fare: verrà inglobato e distrutto dalla stella in espansione. 
Il pianeta orbita molto vicino alla stella (0.06 UA) in appena 4.74 giorni.
Allo studio hanno partecipato varie università americane ed anche una quarantina di citizen scientists provenienti da 10 paesi sparsi in 4 continenti.

15.5.17

HAT-P-26b: IL NETTUNO CALDO


Tra le varie categorie di esopianeti che oggi conosciamo, alcune presenti anche all'interno del nostro sistema planetario e altre del tutto assenti, ce n'è una che ancora cela la gran parte dei suoi misteri: i pianeti nettuniani.
Come fa presumere il loro nome, si tratta di pianeti simili per dimensione e massa al nostro Nettuno ovvero a metà strada tra un gigante gassoso (come ad esempio Giove) ed un pianeta di tipo terrestre.
Oggi ne conosciamo diverse decine in giro per la galassia ma già dalle prime scoperte qualcosa aveva spiazzato ed incuriosito i cacciatori di esopianeti: questi nettuniani erano caldi e vicini alla loro stella e non freddi e distanti come il nostro! Ecco l'origine della dicitura nettuniani caldi
Di questa affollata classe di pianeti, i nettuniani, conosciamo dimensione e massa solamente di una manciata di mondi: Urano, Nettuno, GJ 436b, HAT-P-11b e HAT-P-26b. 
Ma le stranezze non finiscono certo qui perchè le scoperte di nuovi mondi ed i relativi studi si susseguono a ritmo serrato.
L'ultima in ordine di tempo riguarda le indagini approfondite compiute da Hubble e Spitzer sul nettuniano caldo HAT-P-26b, transitante di fronte alla sua stella distante 430 anni luce da noi in direzione della costellazione della Vergine. 
Nel nostro sistema planetario i pianeti giganti come Giove, Saturno, Urano e Nettuno hanno una metallicità molto più grande del Sole, che aumenta di molto con l'aumentare della distanza dal Sole. Per metallicità si intende la quantità di elementi diversi da idrogeno ed elio presenti all'interno di un corpo celeste. Si ipotizza, in accordo con i modelli di formazione del sistema solare attualmente accettati, che tale metallicità elevata sia il frutto della formazione di questi pianeti in aree distanti dal Sole, laddove si erano addensati i materiali più pesanti del disco protoplanetario. Nell'arricchimento di questi pianeti ha giocato un ruolo fondamentale l'intenso e prolungato bombardamento da parte di comete ed asteroidi ricchi di elementi pesanti.
Se queste dinamiche fossero universali i pianeti nettuniani dovrebbero presentare tutti una metallicità piuttosto elevata, tra varie decine ed il centinaio di volte maggiore rispetto ad una stella di tipo solare. E allora come mai HAT-P-26b possiede una metallicità pari ad appena 4.8 volte quella del Sole? Una metallicità molto più simile a quella di Giove (circa 5) che a quella di Nettuno (circa 100).
Nei 4 transiti osservati da Hubble e nei 2 rilevati da Spitzer (0.5-5 micrometri) è stata studiata approfonditamente la riga di assorbimento dell'acqua generalmente debole in questo tipo di pianeti eppure assai marcata in questo. E' stata utilizzata questa particolare riga perchè in condizioni di equilibrio l’acqua è l’unica sostanza relativamente abbondante che cresce proporzionalmente alla metallicità.
L'importante carenza di elementi pesanti all'interno dell'atmosfera di HAT-P-26b fa pensare ad un'atmosfera tersa composta principalmente da idrogeno ed elio e dunque primitiva, poco contaminata da altri materiali presenti nel disco o in altri planetesimi.
L'ipotesi che al momento va per la maggiore prevede la formazione del pianeta in un ambiente prossimo alla stella, dunque troppo caldo per la formazione di ghiacci e povero di materiali solidi. Si pensa inoltre che l'involucro di idrogeno ed elio si sia formato in un periodo successivo alla nascita del pianeta e alla presenza di altri planetesimi vaganti nel sistema.
Comprendere come tutto ciò sia possibile vorrà dire comprendere molto sulla nascita, l'evoluzione e la posizione di questa classe di esopianeti.