3.10.17

IL COLORE DI WASP-12b

Per la seconda volta, dopo il blu cobalto di HD189733b, è stato possibile determinare il colore apparente di un esopianeta a partire dalla misurazione del suo albedo. 
L'albedo è la quantità di luce incidente riflessa da un pianeta. 
WASP-12b, un gioviano caldo assai studiato, ha sorpreso tutti con questo look imprevisto: apparirebbe più scuro dell'asfalto appena steso.  Tale oscurità è diretta conseguenza di un albedo bassissimo, appena 0.064, misurato dallo spettrografo STIS a bordo del telescopio spaziale Hubble. Ciò vuol dire che questo pianeta assorbe circa il 94% della luce che lo colpisce. 
Ma come mai un pianeta che di giorno raggiunge i 2600°C risulta poi così scuro?
Secondo il team di astronomi autore dello studio la causa si nasconde nella temperatura della spessa atmosfera dell'esopianeta.
L'altissima temperatura impedisce la formazione di qualunque nuvola, mantiene i metalli alcalini in forma di gas ionizzato e spezza le molecole di idrogeno in idrogeno atomico. 
Tali misurazioni sono merito di osservazioni spettroscopiche tra i 290 ed i 570 nm.

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18.7.17

SPHERE E IL DIRECT IMAGING


Nonostante il gran numero di esopianeti scoperti, è sempre complicato poter dire "ho visto un esopianeta". Nella quasi totalità dei casi la presenza di un pianeta viene dedotta dal disturbo gravitazionale che genera sulla sua stella (metodo delle velocità radiali), dalla particolare curva di luce prodotta dalla sua stella quando la eclissa ciclicamente (metodo del transito, microlensing gravitazionale), dalle anomalie nel precisissimo rintocco delle pulsar (metodo del timing delle pulsar). 
Eppure una piccola quota dei pianeti conosciuti è stata scoperta direttamente (direct imaging): la radiazione proveniente dal pianeta (riflessa o intrinseca) raggiunge direttamente il sensore del telescopio e viene catturata in una fotografia.
La potenza di questo metodo sta nel poter dare un'immagine in tempo reale del sistema così come esso è in realtà, oltre a poterne seguire direttamente l'evoluzione nel tempo. Al di là del lato estetico tali immagini (ovvero la luce del pianeta) vengono successivamente analizzate spettroscopicamente per trarne quanti più dati possibili. Infatti è ancora abbastanza raro avere la possibilità di studiare un segnale esoplanetario "pulito" come quello puntiforme ed isolato raccolto dal direct imaging. L'unica alternativa (attualmente la più proficua) è lo studio delle atmosfere esoplanetarie, possibile grazie al metodo del transito, che permette in alcuni casi di studiare la luce rifratta dall'atmosfera del pianeta durante il transito di fronte alla sua stella. La comprensione della composizione atmosferica permette indirettamente di ipotizzare la composizione superficiale o interna del pianeta.
Ma torniamo al direct imaging. Com'è possibile osservare direttamente la luce riflessa (o emessa) di un pianeta lontano tra i 4.2 e svariate centinaia di anni luce? E' una sfida ancora al limite delle nostre capacità tecnologiche attuali e necessita dei telescopi più grandi esistenti al mondo e di un sensore estremamente sensibile e performante, che nel caso di osservazioni da terra sia in grado di correggere in tempo reale le distorsioni prodotte dall'atmosfera (ottiche adattive).
Ebbene ne esistono già alcuni e tra i migliori spicca lo strumento SPHERE (Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet REsearch instrument) dell'ESO montato sul telescopio 3 del VLT (Very Large Telescope). Quando lo strumento opera, utilizza un coronografo stellare per bloccare la luce abbagliante della stella ed osservare scrupolosamente le sue immediate vicinanze alla ricerca di pianeti in orbita. 
La risoluzione spaziale di SPHERE oscilla tra 0.02 e 0.08 secondi d'arco a seconda della lunghezza d'onda in cui sta osservando (0.5–2.32 µm). 
L'ultima scoperta effettuata da questo straordinario strumento è quella del pianeta HIP 65426b, di cui è stata ottenuta una fotografia. Questo mondo dista 385 anni luce da noi,
Per ottenere questa immagine lo specchio di SPHERE (dotato delle più avanzate ottiche adattive) ha corretto ed eliminato 1200 volte al secondo le turbolenze prodotte dall'atmosfera terrestre.
Come accennato, è inoltre in grado di catturare la luce di un pianeta anche un milione di volte più debole rispetto alla sua stella.
Dall'analisi spettroscopica della luce esoplanetaria catturata è stato possibile determinare la temperatura del pianeta, pari a 1200°C, stimare la distanza dalla sua stella in circa 30 UA (4.5 miliardi di km) e la sua massa compresa tra 6 e 12 volte quella del nostro Giove. Ma non solo, è stata osservata anche la presenza di acqua e di nubi nella sua atmosfera.
Dall'osservazione della sua stella invece, gli astronomi si sono resi conto che l'astro ruota attorno al proprio asse circa 150 volte più veloce rispetto al sole. 
Si cerca ora di capire come questo sia possibile e quali sono le cause di quanto osservato: per ora ci sono due ipotesi. Il primo scenario vedrebbe la migrazione del pianeta verso l'esterno del sistema una volta terminata la sua formazione e dissipato il disco, causata probabilmente dall'interazione con altri pianeti massicci del sistema. Il secondo invece ipotizza una formazione comune e coeva della stella e del pianeta, ma quest'ultimo non avrebbe raggiunto la massa sufficiente per poter innescare le reazioni di fusione nucleare e diventare una stella a tutti gli effetti.

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13.7.17

OGNUNO AL SUO POSTO, PARE...

Seguendo questo blog e le notizie battute dalle principali agenzie spaziali del mondo vi sarete resi conto da soli di quanti pianeti vengano scoperti ormai settimanalmente. Abbiamo parlato del loro aspetto, della loro composizione, di comportamenti estremi e talvolta bizzarri per gli standard a cui ci ha abituato il nostro sistema solare. 

Ci troviamo ora in una situazione analoga a quando andiamo a comprare un bel puzzle da migliaia di pezzi: ne compriamo uno in particolare perchè la sua immagine finale ci meraviglia. Una volta acquistato e aperto però, bisogna cominciare a mettere ordine per capirci qualcosa. 
Oggi i pezzi del puzzle esoplanetario sono oltre 3600 e gli astronomi si sono già adoperati per mettere ordine....ma le sorprese non mancano mai!

La caccia agli esopianeti ci ha insegnato un'infinità di cose, tra cui risalta l'incredibile varietà dei sistemi planetari e l'esistenza di tipologie di pianeti assenti nel sistema solare. 
Fare ordine tra tutte queste scoperte vuol dire innanzi tutto avere un primo quadro generale della popolazione planetaria nella Galassia, della sua distribuzione e della sua genesi e differenziazione.



Dopo anni di dati e spettri raccolti da Kepler e dai telescopi Keck delle Hawaii sulla maggior parte dei pianeti transitanti noti, è stato possibile analizzare nuovamente i dati ottenendo una risoluzione 4 volte maggiore rispetto al passato. Le nuove analisi (CKS Survey) hanno permesso dunque di stimare le dimensioni di 2025 esopianeti in maniera molto più precisa, potendoli finalmente collocare nella giusta categoria di appartenenza.
Ed è proprio a questo punto che gli astronomi si sono imbattuti in un'inaspettata novità. Le tre classi principali sono quelle dei pianeti rocciosi terrestri (dalle subterre alle superterre), dei mini-nettuni gassosi (piccoli pianeti gassosi) e dei giganti gassosi (come Giove o anche più).
Basandosi sul campione di pianeti studiati, pare che la nostra Galassia preferisca creare pianeti di taglia terrestre (0.3 - 1.75 volte la Terra), mini-nettuni (2 - 3.5 volte) e giganti gassosi (? - decine di volte la Terra). La quasi totalità dei pianeti rientra nelle tre categorie ma è apparso subito chiaro come quasi nessun pianeta si trovi tra i pianeti terrestri e i mini-nettuni, generando una netta distinzione tra le due classi.
Insomma, c'è una marcata carenza di pianeti di dimensioni comprese tra 1.5 e 2.0 volte la Terra.
A differenza di quasi tutti i sistemi esoplanetari noti, nel nostro sistema manca un pianeta di taglia intermedia tra la Terra e Nettuno (che è 4 volte più grande). Come mai? Come sono fatti questi pianeti? Queste sono solo due delle nuove questioni aperte da questa evidenza.
Al momento la causa di questa netta separazione non è chiara ma gli astronomi hanno già avanzato due ipotesi. La prima presuppone una preferenza naturale per la formazione di pianeti terrestri rocciosi; alcuni di questi, per meccanismo ancora non compresi, manterrebbero o acquisirebbero abbastanza gas da fare il salto e diventare mini-nettuni gassosi. A questo punto immaginiamo di avere un palloncino vuoto con la sua massa: la massa è quella del palloncino e le sue dimensioni sono minime. Se però lo riempiamo di elio, la sua massa rimarrà pressochè identica, ma non certo le sue dimensioni che ad esempio decuplicheranno. Basterebbe che un pianeta terrestre possedesse l'1% in massa di gas (ad esempio idrogeno ed elio) per fare il salto e terminare nella classe dei mini-nettuni gassosi. L'1% in massa vorrebbe dire un'atmosfera gassosa molto estesa che circonderebbe un pianeta terrestre.
La seconda presuppone invece che il pianeta possegga in origine il gas necessario a rientrare nella categoria dei mini-nettuni gassosi; il cambio di classe verso i pianeti terrestri avverrebbe in seguito all'esposizione del pianeta e della sua atmosfera alla radiazione ed al vento stellare del suo astro. Tale condizione causerebbe la perdita della maggior parte dell'atmosfera (e quindi del volume) al pianeta, che dunque risulterebbe più piccolo in termini di dimensione.




In definitiva, in termini di dimensioni la popolazione dei pianeti rocciosi terrestri e quella dei mini-nettuni gassosi hanno una grande variabilità interna ma paiono essere ben separate tra loro.
Si pensa che i nuclei rocciosi dei mini-nettuni non vadano oltre 1.6 volte la dimensione della Terra e, da questo punto in avanti, la dimensione del pianeta sia determinata da un'estesa atmosfera gassosa.

Per saperne di più gli astronomi attendono la nuova generazione di telescopi che permetterà uno studio di gran lunga più approfondito sulla composizione di questi pianeti, specialmente dei mini-nettuni gassosi. Il fine è la comprensione del perchè vi sia questa netta distinzione e quali sono i processi che la regolano. 

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16.6.17

LA DIVERSITA' DEI GEMELLI


La scoperta di cui parliamo oggi mette l'accento sulla caratterizzazione dei pianeti extrasolari. Tra le migliaia di mondi che oggi conosciamo, molti ormai si somigliano ad esempio per massa o dimensioni. Eppure non possiamo pensare che due pianeti con stesse caratteristiche siano necessariamente uguali e ciò vale soprattutto per l'aspetto di questi mondi. 
Hubble ha osservato due stelle simili al Sole, HAT-P-38 e WASP-67, concentrandosi sui due pianeti giganti gassosi che vi orbitano attorno, rispettivamente HAT-P-38b e WASP-67b.
Nonostante essi abbiano simile taglia, massa, temperatura e stella madre, gli astronomi hanno voluto saperne di più e hanno cercato di ricostruirne l'aspetto suggerito dai dati raccolti.
Autrice di queste fini osservazioni è la camera WFC3 di Hubble, giò molte volte utilizzata in passato per lo studio e la caratterizzazione dei pianeti extrasolari. 
La vera scoperta sta dunque nell'analisi spettroscopica delle due atmosfere, simili nella struttura ed assai diverse nella composizione chimica! 
Questa evidenza non può significare altro se non una genesi differente dei due involucri gassosi.
L'atmosfera di WASP-67b è più densa di nubi rispetto a quella che circonda HAT-P-38b.
Analizzando l'emissione spettrale delle molecole d'acqua presenti nelle due atmosfere, gli astronomi sono anche riusciti a riconoscere e quantificare l'incidenza della presenza di nubi su tale emissione, potendo stimare quindi l'abbondanza di nubi presenti sui due pianeti. In termini del tutto generali tale nuvolosità provoca un'attenuazione nel segnale prodotto dalle molecole d'acqua.
Tali differenze nella composizione chimica e nella nuvolosità potrebbero essere state causate da vari fattori passati come eventi globali, migrazioni planetarie, cambiamenti delle condizioni ambientali in cui si sono evoluti i due mondi.
I due pianeti sono molto vicini alla loro stella e completano il loro anno in appena 4 giorni e mezzo. Tale condizione li vincola a mostrare sempre il medesimo emisfero alla stella, producendo un dì perenne rovente (700°C) ed una notte perenne più fredda sull'altro emisfero. Le nubi che si addensano su questi pianeti potrebbero essere formate da cloruro di potassio e solfuro di sodio.

8.6.17

KELT-9b, IL PIANETA PIU' CALDO CONOSCIUTO


Tra queste pagine abbiamo incontrato moltissimi mondi inospitali per i più svariati motivi, ma Kelt-9b detiene un record assoluto in materia di temperatura. 
Il pianeta, quasi 3 volte più massiccio di Giove e 2 volte meno denso, orbita attorno alla stella Kelt-9 (distante 620 anni luce) in appena un giorno e mezzo. La brevità del suo anno va di pari passo con l'estrema vicinanza di questo mondo alla sua stella, due volte più grande e più calda (9.900°C) rispetto al Sole.
Ebbene, questo gigante gassoso viene costantemente investito dalla fortissima radiazione stellare e presenta una temperatura di 4330°C, la più alta in assoluto tra i pianeti extrasolari noti e superiore anche alla maggior parte delle stelle della Via Lattea!


Per intenderci, ha una temperatura appena 1200°C più bassa del nostro Sole. Su Kelt-9b fa talmente caldo che neanche le molecole di acqua, metano ed anidride carbonica possono formarsi. Insomma, nonostante sia caldo come una stella rientra pienamente nei requisiti (dimensione e massa) per essere considerato un pianeta.
L'estrema vicinanza del pianeta alla sua stella lo costringe a mostrare sempre il medesimo
emisfero al suo astro, generando un giorno ed una notte perenni. Ma non solo: l'enorme quantità di radiazione ultravioletta emessa dalla stella rischia di dissolvere il pianeta in poche centinaia di milioni di anni, spazzandone via l'atmosfera e creando una vera e propria coda cometaria rilasciata dal pianeta lungo la sua orbita. Ma è altrettanto possibile che prima di ciò, entro un miliardo di anni, la stella distrugga il pianeta inglobandolo durante la sua fase di gigante rossa. 
In termini astronomici al pianeta non rimane tanto e quel poco che gli rimane non se lo sta vivendo bene.
Nel prossimo futuro Hubble, Spitzer e JWST torneranno ad osservare Kelt-9b per saperne di più e determinare quale sarà la fine di questo pianeta rovente.


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STELLE LONTANE PER RACCONTARE UNA STELLA VICINA

HD 107146 è una stella di magnitudine visuale 7 posta a circa 90 anni luce da noi, in direzione della costellazione della
Chioma di Berenice. Si tratta di una stella gemella del Sole ma con un'età compresa tra 80-120 milioni di anni, dunque molto più giovane del nostro astro.

Il tipico eccesso di segnale nell'infrarosso ha permesso di svelare nel 2003 il disco di polveri e detriti che circonda la stella, orientato perpendicolarmente alla nostra linea di vista. Si trattava all'epoca della prima struttura del genere scoperta attorno ad una stella identica al Sole. L'anno successivo le osservazioni sono state confermate da Hubble.
Compiendo osservazioni nelle lunghezze d'onda submillimetriche e del lontano infrarosso, gli astronomi hanno dedotto che il disco ha una temperatura di circa -222°C ed una massa pari a un decimo di quella terrestre. Da successive osservazioni si è dedotto anche che il disco deve essere composto da grani piccoli.
Tutta la struttura si estende per 210 x 300 UA.
Lo studio di questa cintura di polveri e detriti attorno alla giovane stella è molto importante per almeno due motivi: per comprendere in termini generali l'evoluzione delle fasce di asteroidi e per sfruttare questa finestra sull'infanzia del nostro Sole. 

Durante il suo orbitare attorno al centro della Via Lattea, HD 107146 si è trovata a transitare su di una galassia lontana posta sullo sfondo.
Esattamente come si fa per studiare le atmosfere dei pianeti extrasolari transitanti, ovvero attendendo che il pianeta si trovi in controluce per poter analizzare la luce stellare rifratta dall'involucro di gas, questa volta la galassia sullo sfondo fornirà la luce che verrà analizzata dopo il passaggio attraverso il disco di polveri della stella. E' una configurazione molto particolare ma che potrà raccontarci molto sulla struttura, sulla composizione e sulla densità di questo disco.
La galassia che sta per essere oscurata è nota da almeno 14 anni, ma fino al 2020 non verrà completamente eclissata dal disco di polveri della stella. Eppure, già da ora, ogni momento è buono per compiere osservazioni ed imparare qualcosa di nuovo sulle porzioni esterne di questo disco.

30.5.17

PDS 110 E I SATURNI EXTRASOLARI


Gli anelli attorno ai pianeti giganti gassosi del nostro sistema planetario hanno generato da sempre una grande meraviglia in chi li ha osservati.
Nel sistema solare il Signore degli Anelli per eccellenza è Saturno, eppure sistemi analoghi di anelli (sebbene più deboli e meno estesi) sono presenti attorno a Giove, Urano e Nettuno. 
Sembra incredibile ma recentemente sono stati scoperti almeno due anelli attorno all'asteroide 10199 Chariklo, grande appena 250 km, una scoperta tanto inaspettata quanto emozionante per chi viaggia con la fantasia.

Dunque gli anelli planetari sono molto comuni nel sistema solare e potrebbero esserlo anche quelli asteroidali.

Dopo aver scoperto migliaia di pianeti attorno ad altre stelle, viene naturale domandarsi se pianeti come il nostro Saturno siano comuni anche attorno ad altre stelle. A livello puramente statistico la risposta è certamente si: tra tutti questi pianeti extrasolari abbiamo classificato pianeti terrestri, pianeti gioviani, pianeti nettuniani, ed addirittura superterre, una tipologia di pianeta che nel nostro sistema è assente! Allora si è partiti alla ricerca di questi gemelli di Saturno, ma come fare? 
L'unico metodo conosciuto e utile allo scopo è quello del transito. Bisogna solo sperare che attorno a qualche stella osservabile dalla Terra, lungo la nostra stessa linea di vista, nell'esatto momento in cui osserviamo, un gemello di Saturno eclissi momentaneamente la sua stella.
Sembra un'impresa impossibile eppure migliaia di pianeti sono stati scoperti proprio così. 
Ma come fare a distinguere un pianeta gioviano da uno saturniano? Bisogna trovare un grosso sistema di anelli. 
Ed è proprio a questo punto che il metodo con cui è stato rilevato l'asteroide 10199 Chariklo fa scuola.
Si è atteso che l'asteroide transitasse di fronte ad una stella sullo sfondo, creando un vero e proprio eclisse. Se durante un evento di questo genere il nostro occhio rileva un momentaneo calo di luminosità (parziale o totale), i sensori applicati ad un telescopio rilevano una curva di luce. 
Una curva di luce non è altro che un grafico che mostra l'andamento della luminosità in funzione del tempo che passa. Se davanti ad una stella non transita nulla, a meno di fenomeni intrinseci dell'astro, la sua luminosità rimane costante nel tempo e la sua curva di luce apparirà come una retta parallela all'asse x del grafico; viceversa assisteremo ad un calo di luminosità proporzionale per durata ed entità alla dimensione dell'oggetto in transito. Quindi, nel caso dell'oggetto in transito, la curva di luce assumerà una caratteristica forma concava: la luminosità comincerà a calare nel momento in cui l'oggetto transita di fronte al disco stellare, raggiungerà un minimo quando l'oggetto sarà interposto tra noi osservatori e la stella, infine la luminosità tornerà ad aumentare fino ai livelli consueti alla fine del transito. La profondità della curva e la sua ampiezza sono proporzionali alla dimensione dell'oggetto ed alla durata del transito.

Torniamo agli anelli e a come scovarli con il metodo del transito. Un oggetto sferico e ben definito in transito produrrà una singola curva di luce dai contorni ben delineati. Ma se  l'oggetto in transito è dotato di anelli la sua curva di luce ne recherà i segni. Nei primi istanti del transito la luce stellare alle sue spalle non sarà affievolita immediatamente dal pianeta, bensì dalla porzione degli anelli che deborda dalla silhouette del pianeta, poi dal pianeta e nuovamente dagli anelli posti dal lato opposto. 
In una curva di luce tutto ciò si traduce in un primo calo di minore entità che anticipa il calo vero e proprio dovuto al pianeta, che a sua volta anticipa un secondo calo più debole. I due cali minori naturalmente saranno di pari entità ed equidistanti dal calo principale dovuto al pianeta. 
Questo è quanto è stato osservato durante il transito di Chariklo ed è quello che ci si aspetta dal transito di un Saturno extrasolare. 
Tra le migliaia di pianeti extrasolari noti, solamente due potrebbero essere dei gemelli di Saturno. 
Il primo, J1407b, è stato scoperto nel 2012, attorno ad una nana arancione a 434 a.l.,  e mostrerebbe queste caratteristiche ma è stato possibile effettuare una sola osservazione e la prossima potrebbe essere attorno al 2020. 
Il secondo orbita attorno alla stella PDS 110 ed ha una storia più travagliata. Alcuni anni fa gli astronomi del team WASP avevano notato quella che sembrava una strana nebbia attorno alla stella, ma nulla fu fatto per i successivi due anni, fino a quando si notò che altri e diversi strumenti avevano rilevato il medesimo segnale. A questo punto qualcosa doveva essere in orbita attorno alla stella PDS 110, qualcosa che affievoliva la sua luce per ben 25 giorni, un tempo molto più lungo di un normale transito planetario. 
Dal profilo della curva di luce gli astronomi hanno ipotizzato possa trattarsi di un gigante gassoso, di dimensioni superiori a quelle di Giove, con un sistema di anelli esteso per circa 50 milioni di km,
ovvero 200 volte quello di Saturno. Il pianeta si starebbe muovendo all'interno di un disco di gas e polveri costituito dal materiale avanzato dalla formazione stellare. La cosa interessante è che, a differenza della ampia orbita descritta da J1407b, il pianeta attorno a PDS 110 dovrebbe transitare nuovamente di fronte alla sua stella nel settembre di quest'anno. Un'orbita quindi molto più corta che permetterà agli astronomi, in collaborazione con una folta schiera di astrofili, di sapere con certezza se siamo di fronte ad un nuovo Saturno o meno. Infatti una o due osservazioni non bastano per essere certi di un transito: per fugare ogni dubbio servono almeno tre osservazioni che riportino tutte i medesimi risultati.
Altro aspetto interessante è la disposizione degli anelli: se quelli di Saturno sono adagiati sul piano orbitale del pianeta, quelli di PDS 110b potrebbero essere fortemente inclinati e quindi sporgere dal disco di gas e polveri che circonda la stella.  Se così fosse, ma non è affatto detto, potrebbero essere gravitazionalmente disturbati dalla presenza del materiale circumstellare, dando vita a forme inedite.
Va detto anche, per completezza, che quanto osservato potrebbe addirittura non essere affatto un pianeta con gli anelli, bensì un momentaneo accumulo di materiale nel disco che, perturbando con la sua massa il materiale circostante, lo innalza momentaneamente dal disco.
Ciò nonostante il team di scopritori si dice fortemente convinto che si tratti di un nuovo Saturno e che la prossima osservazione lo dimostrerà. In attesa di dati certi, l'immaginazione è già all'opera.


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25.5.17

NOVITA' GLACIALI PER TRAPPIST-1h


Grazie ai suoi 7 mondi, di cui 3 posti nella fascia abitabile, la scoperta del sistema planetario attorno alla stella TRAPPIST-1 ci ha fatto sognare. Ma siamo davvero solo all'inizio e molto resta ancora da scoprire e da comprendere.
Come giustamente diceva qualche sera fa un bravissimo conferenziere al Planetario di Milano, proprio parlando delle novità riguardanti questo sistema, non bisogna mai fermarsi ai momenti euforici dell'annuncio pubblico di una scoperta! I dati che ci permettono davvero di avere un quadro il più possibile completo e veritiero di ciò che osserviamo vengono studiati e pubblicati continuamente anche e soprattutto dopo l'annuncio giornalistico. 


E il caso di TRAPPIST-1 non fa certo eccezione! Dopo gli aggiornamenti degli scorsi articoli, in questo parleremo del mondo più lontano e sconosciuto tra i 7: TRAPPIST-1h. 
Un team di astronomi delle Università di Washington e Berna si è concentrato sul pianeta osservandolo per ben 60 ore consecutive con l'obiettivo di determinare con certezza i suoi parametri orbitali, precedentemente assai poco noti.

Già in precedenza avevamo accennato all'estrema vicinanza dei pianeti tra di loro ed alle possibili risonanze orbitali che questa vicinanza genererebbe. E proprio come accade nel sistema solare le risonanze stabilizzano e circolarizzano le orbite evitando scontri o espulsioni dall'orbita. 
Più tecnicamente: i periodi di rivoluzione attorno alla stella sono in rapporto fra loro secondo frazioni di numeri interi.
I sensori di del telescopio spaziale Kepler si sono occupati della raccolta dei dati necessari. Evidenziando e confermando le risonanze orbitali tra i 6 pianeti interni, calcolare i parametri orbitali del pianeta h è stato più semplice. Si è visto infatti che ogni due rivoluzioni di h, g ed f ne completano rispettivamente 3 e 4. Le osservazioni hanno confermato la teoria. Sapendo questo è stato quindi possibile calcolare il periodo di rivoluzione di h in 18 giorni, 18 ore, 20 minuti e 10 secondi.

Ma le scoperte non si sono fermate alla sola durata dell'anno di TRAPPIST-1h.

E' stato possibile stimare la temperatura di equilibrio del pianeta, risultata essere di -104°C (169 K), ed il raggio di poco inferiore a quello terrestre (0.727 R⊕).
Considerando la radiazione stellare incidente sul pianeta si è visto che essa risulta insufficiente per mantenere acqua liquida in superficie, ma sarebbe possibile un oceano di acqua liquida sotto uno strato di ghiaccio superficiale. Lo spessore di tale strato dipende dal calore sviluppato dall'interno del pianeta ma potrebbe ragionevolmente essere dell'ordine dei 3 km. 
Va detto che alcuni modelli che prevedono un'atmosfera ricca di idrogeno, azoto ed anidride carbonica, genererebbero un effetto serra sufficiente a mantenere dell'acqua liquida in superficie.
Considerando il raggio e le possibili composizioni del pianeta, la massa di h sarebbe compresa tra e 0.067–0.863 M⊕; per una composizione terrestre il pianeta presenterebbe una massa di 0.33 M⊕. 
C'è stato anche spazio per alcune novità provenienti dalla stella: il suo periodo di rotazione pari a 3.3 giorni ed un'età maggiore dei 500 milioni di anni precedentemente attribuiti. Quest'ultimo dato è stato rivisto considerando l'attività stellare, risultata minore del previsto. A differenza di molte altre nane rosse che illuminano altri sistemi planetari, TRAPPIST-1 risulta stabile e dall'attività non violenta, sebbene siano stati rilevati alcuni flare a bassa energia.


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22.5.17

UN'ALTRA SUPERTERRA VICINA


Se consideriamo le migliaia di pianeti extrasolari che conosciamo oggi, ci viene da sorridere pensando che solamente 30 anni fa gli unici pianeti noti nell'intero universo erano quelli del nostro sistema solare. 
La crescita ormai esponenziale del numero di scoperte di nuovi pianeti va di pari passo con l'avanzamento tecnologico che ci permette di osservare sempre più in dettaglio.
Di questa felice tendenza è testimone l'ultima scoperta, che ci fa conoscere una superterra ad appena 21.2 anni luce dal nostro sistema solare, un nulla in termini astronomici. Un mondo speciale che, con ulteriori studi ed osservazioni, potrebbe riservare anche qualche sorpresa. 
Poichè il piano orbitale del pianeta attorno alla sua stella non coincide con la nostra linea di vista, il pianeta non si trova a transitare di fronte alla sua stella come la maggior parte dei pianeti extrasolari che conosciamo oggi, dunque per scoprirlo e studiarlo è inutile il metodo del transito. Fondamentale invece per scovarlo è stato il metodo della velocità radiale, che evidenzia la perturbazione gravitazionale prodotta dalla presenza dell'invisibile pianeta sulla sua stella. 
C'è tanta Italia in questa scoperta, effettuata con il nostro Telescopio Nazionale Galileo (TNG) alle Canarie che monta HARPS-N, uno degli spettrometri più sensibili al mondo e veterano come scopritore di nuovi mondi.
Il nuovo pianeta, battezzato GJ 625b (o Gliese 625b), è un mondo roccioso posto al limite della fascia di abitabilità della sua stella. Con la sua massa pari a 2.8 volte quella del nostro pianeta, il nuovo mondo rientra nella ormai numerosa classe delle superterre.
La sua stella, GJ 625 (o Gliese 625, mv:+10.2 nel Drago), è una nana rossa ed è stata osservata per ben 3 anni dagli astronomi, proprio per evidenziare la presenza di anomalie gravitazionali (anomalie nella velocità radiale) che indicassero la presenza di uno o più pianeti in orbita. Grazie a 151 spettri raccolti da HARPS-N si è potuto stimare il periodo orbitale, pari a 14 giorni. Il pianeta ruota a 0.08 UA dal suo sole.
Come accennato, il pianeta si trova a ridosso del limite interno della fascia di abitabilità della sua stella e quindi potrebbe ospitare acqua liquida in superficie, ma molto dipende dalla sua atmosfera e dal suo periodo di rotazione. Entrambi i fattori giocano un ruolo chiave nel determinare la temperatura superficiale del pianeta ed in ultima istanza la sua possibile abitabilità.



SEMPRE MENO SEGRETI ATTORNO A FOMALHAUT

Fomalhaut è una delle stelle più brillanti dell'intero cielo, la più luminosa della sua costellazione: il Pesce Australe. Simile a Sirio e Vega, dista da noi 25 anni luce e ha una massa ed una dimensione doppia rispetto al Sole. Risulta però sensibilmente più calda con i suoi 8500 K.
Al di là della sua luminosità, c'è molto interesse per questa stella in quanto ospita attorno a sé un estesissimo disco di gas e polveri in cui orbita Fomalhaut b, il primo pianeta extrasolare scoperto grazie ad un'osservazione diretta.

La presenza del disco fu intuita per la prima volta grazie ai dati raccolti dal telescopio spaziale IRAS nel 1983 che osservando la stella e le sue immediate vicinanze rivelarono un eccesso di radiazione infrarossa. Nel 1998 il sistema fu osservato nelle lunghezze d'onda millimetriche e submillimetriche, mettendo il luce il disco e l'estesa cavità centrale. 
La svolta però si ebbe nel 2005 quando, grazie al coronografo ed all'osservazione ad altissima risoluzione (0.5 UA per pixel) nel visibile, Hubble fece un ritratto completo al disco di gas e polveri. 
Ciò che emerse fu un disco ellittico di 140 x 57.5 UA, con una fascia di materiale asteroidale e cometario estesa 25 UA tra le 133 e le 158 UA da Fomalhaut, stella a sua volta posta a 15.3 UA dal vero centro del disco. Lo spessore massimo del disco risultò essere di 3.5 UA per una massa totale compresa tra le 50 e le 100 masse terrestri. 
Dalle analisi spettroscopiche si comprese che il disco era composto prevalentemente da ghiaccio d'acqua e silicati, seguiti da composti del ferro e del carbonio; il tutto ad una temperatura compresa tra 40 e 75 K.
Questo e poco altro è tutto ciò che si è saputo fino ad oggi di Fomalhaut e del suo disco di polveri. Tra le recenti novità è da citare senza dubbio quella riguardante la natura tripla del sistema stellare di Fomalhaut.
Ma recentemente sono state effettuate nuove osservazioni da ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array). E' stato così possibile ottenere per la prima volta l'immagine più dettagliata di sempre dell'intero sistema. 
Facendo l'analisi spettroscopica di questi detriti gli astronomi hanno trovato analogie tra quel materiale e quello cometario presente nel sistema solare; hanno anche evidenziato come il sistema stia attraversando una fase analoga al late heavy bombardment subita dal giovane sistema solare, quando i detriti rimanenti dalla formazione del sistema colpirono incessantemente il neonato sistema planetario. Grazie a questi studi è stato possibile stimare l'età del sistema in 440 milioni di anni, circa 1/10 dell'età del sistema solare. 
Gli studi più recenti di ALMA hanno ridotto l'estensione della fascia di detriti a circa 13.5 UA (2 miliardi di km), a partire da 136.3 UA dalla stella. La massa contenuta all'interno della fascia è stata stimata in 0.015 masse terrestri. Tali evidenze hanno portato gli astronomi a credere che tale fascia sia plasmata dall'azione gravitazionale di almeno due pianeti, proprio come accade agli anelli di Saturno sotto l'azione di alcune sue lune.
Un'altra grande novità legata a questo studio è stata la possibilità di osservare un fenomeno che fino ad oggi era stato solo predetto: il bagliore dell'apocentro. Seguendo quanto dice il buon Keplero nella sua seconda legge, il materiale contenuto nella fascia di detriti dovrebbe rallentare in direzione dell'apocentro e raggiungere la minore velocità, ammassandosi momentaneamente, in quel punto. Se ciò e vero, e lo è, all'apocentro dovremmo trovare una maggiore concentrazione di materiale che rende questa particolare area più densa e luminosa. Ebbene, grazie a questo bagliore, è stato possibile determinare che l'abbondanza di monossido di carbonio ed anidride carbonica è analoga a quella presente nelle comete del nostro sistema solare.


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19.5.17

KELT-11b: IL PIANETA ESPANSO

Attorno alla stella KELT-11, distante 320 anni luce dal Sole, è stato scoperto nel 2016 un pianeta davvero bizzarro: un gigante gassoso con una densità estremamente bassa, simile a quella del polistirolo!
Il pianeta è stato individuato tra le 5 milioni di stelle scandagliate dal Kilodegree Extremely Little Telescope, grazie al transito che compie periodicamente attorno al suo sole.
Anche il telescopio spaziale Spitzer ha osservato il transito del pianeta alla lunghezza d'onda di 3.6µm.
Ma come è stato possibile calcolare la densità di questo mondo lontano? Grazie al metodo con cui è stato scoperto siamo in grado di ricavare il volume del pianeta, direttamente proporzionale alla quantità di luce stellare che scherma durante il passaggio davanti alla sua stella. La massa è stata stimata dai parametri orbitali noti e dai dati del transito.
Per ottenere la densità del pianeta, un parametro fondamentale per comprendere la composizione e la struttura di un pianeta, basta fare massa/volume. 
Ed è proprio a questo punto che KELT-11b ha meravigliato gli astronomi: con un volume superiore a quello di Giove del 40% ed una massa pari appena ad 1/5 di quella gioviana si ottiene una densità estremamente bassa: 0.093 g cm3
La luminosità della stella (mv 8.0) permette di compiere misurazioni atmosferiche precise, utili anche ad affinare le tecniche di indagine delle atmosfere extrasolari. Si è visto in particolare che la sua atmosfera è spessa addirittura 2763 km, rendendolo di fatto uno dei pianeti più gonfi che si conoscano.
Ma la stella ha già intrapreso il percorso che la porterà entro 100 milioni di anni a diventare una gigante rossa e quando raggiungerà questo nuovo stadio per KELT-11b non ci sarà più nulla da fare: verrà inglobato e distrutto dalla stella in espansione. 
Il pianeta orbita molto vicino alla stella (0.06 UA) in appena 4.74 giorni.
Allo studio hanno partecipato varie università americane ed anche una quarantina di citizen scientists provenienti da 10 paesi sparsi in 4 continenti.

15.5.17

HAT-P-26b: IL NETTUNO CALDO


Tra le varie categorie di esopianeti che oggi conosciamo, alcune presenti anche all'interno del nostro sistema planetario e altre del tutto assenti, ce n'è una che ancora cela la gran parte dei suoi misteri: i pianeti nettuniani.
Come fa presumere il loro nome, si tratta di pianeti simili per dimensione e massa al nostro Nettuno ovvero a metà strada tra un gigante gassoso (come ad esempio Giove) ed un pianeta di tipo terrestre.
Oggi ne conosciamo diverse decine in giro per la galassia ma già dalle prime scoperte qualcosa aveva spiazzato ed incuriosito i cacciatori di esopianeti: questi nettuniani erano caldi e vicini alla loro stella e non freddi e distanti come il nostro! Ecco l'origine della dicitura nettuniani caldi
Di questa affollata classe di pianeti, i nettuniani, conosciamo dimensione e massa solamente di una manciata di mondi: Urano, Nettuno, GJ 436b, HAT-P-11b e HAT-P-26b. 
Ma le stranezze non finiscono certo qui perchè le scoperte di nuovi mondi ed i relativi studi si susseguono a ritmo serrato.
L'ultima in ordine di tempo riguarda le indagini approfondite compiute da Hubble e Spitzer sul nettuniano caldo HAT-P-26b, transitante di fronte alla sua stella distante 430 anni luce da noi in direzione della costellazione della Vergine. 
Nel nostro sistema planetario i pianeti giganti come Giove, Saturno, Urano e Nettuno hanno una metallicità molto più grande del Sole, che aumenta di molto con l'aumentare della distanza dal Sole. Per metallicità si intende la quantità di elementi diversi da idrogeno ed elio presenti all'interno di un corpo celeste. Si ipotizza, in accordo con i modelli di formazione del sistema solare attualmente accettati, che tale metallicità elevata sia il frutto della formazione di questi pianeti in aree distanti dal Sole, laddove si erano addensati i materiali più pesanti del disco protoplanetario. Nell'arricchimento di questi pianeti ha giocato un ruolo fondamentale l'intenso e prolungato bombardamento da parte di comete ed asteroidi ricchi di elementi pesanti.
Se queste dinamiche fossero universali i pianeti nettuniani dovrebbero presentare tutti una metallicità piuttosto elevata, tra varie decine ed il centinaio di volte maggiore rispetto ad una stella di tipo solare. E allora come mai HAT-P-26b possiede una metallicità pari ad appena 4.8 volte quella del Sole? Una metallicità molto più simile a quella di Giove (circa 5) che a quella di Nettuno (circa 100).
Nei 4 transiti osservati da Hubble e nei 2 rilevati da Spitzer (0.5-5 micrometri) è stata studiata approfonditamente la riga di assorbimento dell'acqua generalmente debole in questo tipo di pianeti eppure assai marcata in questo. E' stata utilizzata questa particolare riga perchè in condizioni di equilibrio l’acqua è l’unica sostanza relativamente abbondante che cresce proporzionalmente alla metallicità.
L'importante carenza di elementi pesanti all'interno dell'atmosfera di HAT-P-26b fa pensare ad un'atmosfera tersa composta principalmente da idrogeno ed elio e dunque primitiva, poco contaminata da altri materiali presenti nel disco o in altri planetesimi.
L'ipotesi che al momento va per la maggiore prevede la formazione del pianeta in un ambiente prossimo alla stella, dunque troppo caldo per la formazione di ghiacci e povero di materiali solidi. Si pensa inoltre che l'involucro di idrogeno ed elio si sia formato in un periodo successivo alla nascita del pianeta e alla presenza di altri planetesimi vaganti nel sistema.
Comprendere come tutto ciò sia possibile vorrà dire comprendere molto sulla nascita, l'evoluzione e la posizione di questa classe di esopianeti.

28.4.17

TERRE DI GHIACCIO

Inevitabilmente, con il progredire della tecnologia e delle tecniche di caccia ai pianeti extrasolari, ci avviciniamo sempre più alla scoperta di una Terra gemella. Abbiamo visto mondi più o meno giganti, incredibili superterre e terre poste in sistemi planetari simili al nostro o talmente differenti e complessi da dover essere ancora compresi. 
Chi segue questo blog però se n'è già accorto: molto spesso i pianeti scoperti sono talmente vicini alla loro stella da risultare roventi. 
D'altro canto si stanno scoprendo numerosi pianeti miti, specialmente negli ultimi tempi. Ma che dire dei pianeti freddi? 
La distanza dalla loro stella e la debolezza della loro emissione (e dunque del segnale ricevuto) complicano di molto la loro scoperta. Ad oggi si conoscono alcuni pianeti ghiacciati ma si tratta di un esigua minoranza rispetto al totale. Eppure, quando vengono scoperti, il loro studio risulta estremamente importante per comprendere le tipologie di pianeti e le dinamiche che governano questi mondi posti dall'altra parte del termometro.
L'ultimo arrivato tra gli esopianeti scoperti è un mondo di ghiaccio delle dimensioni della Terra (1.43 masse terrestri) che orbita alla medesima distanza dal suo sole. 
Un primo dato importante lega il pianeta al metodo con cui è stato scoperto: si tratta del pianeta più piccolo scoperto ad oggi con il metodo del microlensing.
Questa tecnica sfrutta la luce delle stelle in secondo piano per scoprire la presenza di pianeti in orbita attorno a stelle in primo piano. Nel momento in cui la stella vicina transita di fronte alla stella sullo sfondo, allineandosi lungo la nostra linea di vista, la gravità della stella in primo piano focalizza la luce della stella lontana aumentandone l'intensità per un breve periodo. Se attorno alla stella vicina orbita anche un pianeta, la luce della stella sullo sfondo subirà due aumenti consecutivi: il primo (più lungo) ad opera della gravità della stella vicina ed il secondo (più corto) prodotto dalla gravità del pianeta.
Al di là della casualità di questi eventi e dell'impossibilità di ripetere le osservazioni, la precisione del metodo del microlensing ha portato alla scoperta degli esopianeti più distanti (anche decine di migliaia di anni luce dal Sole) e tra i più piccoli oggi noti. Pianeti che con tutti gli altri metodi oggi in uso sarebbe stato impossibile rilevare.

Torniamo al nuovo mondo, noto come OGLE-2016-BLG-1195Lb, dal nome del sistema automatizzato di ricerca che per primo ha individuato l'evento di microlensing, l'Optical Gravitational Lensing Experiment (OGLE).
Unendo quest'ultima rilevazione ad analoghe e precedenti scoperte, si cerca di capire innanzi tutto se ci sono differenze nella distribuzione di pianeti tra il disco della galassia e la sua zona centrale (bulge).

L'evento di microlensing è stato osservato contemporaneamente dallo telescopio spaziale Spitzer e dal Korea Microlensing Telescope Network (KMTNet) sulla Terra, La grande distanza che separa i telescopi e la contemporaneità delle osservazioni hanno permesso di osservare l'evento (KMTNet) e calcolare con precisione la massa del pianeta e della sua stella (Spitzer). 
OGLE-2016-BLG-1195Lb orbita a ben 13.000 anni luce da noi in direzione della costellazione dello Scorpione, attorno ad un astro talmente piccolo e debole che non si è neanche sicuri che si tratti di una stella: con una massa pari ad appena il 7.8% della massa solare potrebbe essere una nana bruna o una nana ultrafredda.
Sulla Terra godiamo di un clima mite perchè il nostro pianeta si trova alla giusta distanza dal Sole, grande abbastanza da non incenerirci e sufficientemente piccola da non farci congelare. Ma la giusta distanza varia al variare della tipologia di stella: essa di troverebbe assai vicina all'astro nel caso della piccola e fredda stella del mondo appena scoperto. Eppure il pianeta in questione orbita a 1.16 UA dalla sua stella, una distanza assai simile a quella che separa la Terra dal Sole ed molto grande per quel tipo di sistema. Con un sole così debole però questo pianeta terrestre è senza dubbio un mondo glaciale, una versione grande come la Terra del nostro Plutone.
La scoperta e lo studio di questo pianeta hanno rappresentato una vera e propria sfida alla nostra capacità di guardare così lontano nella galassia. Una sfida vinta e un altro passo avanti, che ci permette di comprendere sempre più la grande varietà di mondi che la nostra Galassia ci offre e che giorno dopo giorno riusciamo ad osservare.




20.4.17

LHS 1140b: UNA NUOVA E PROMETTENTE SUPER-TERRA

La ricerca di pianeti attorno ad altre stelle prosegue spedita dopo aver collezionato di recente scoperte epocali come Proxima b ed il sistema di TRAPPIST-1
L'obiettivo finale è quello di trovare pianeti simili alla Terra, abitati o abitabili, sperabilmente vicini al nostro sistema. 

Con la tecnologia attuale infatti la vicinanza è un requisito ancora fondamentale per poter caratterizzare in maniera certa un determinato pianeta e la sua atmosfera. Nell'impossibilità di inviare sonde sul posto, bisogna affidarci all'unico messaggero che attraversa l'universo per noi: la luce.
Negli ultimi tempi sono state effettuate scoperte sensazionali entro poche decine di anni luce dal Sole, nulla in termini astronomici, che fanno pensare ad una galassia ben più popolata di pianeti terrestri rispetto a quanto si creda. 
L'ultimo arrivato, LHS 1140b, entra prepotentemente in questa importantissima categoria in attesa di ulteriori conferme e studi approfonditi. 

Distante appena 39 anni luce in direzione della costellazione della Balena, il nuovo esopianeta orbita
attorno alla nana rossa LHS 1140, una stella più piccola (15% della massa solare) e fredda della nostra . Nel periodo di osservazione della stella non sono stati rilevati flare, è stata stimata un'età di poco superiore ai 5 miliardi di anni ed un periodo di rotazione dell'astro pari a circa 130 giorni. L'abitabilità di un pianeta e la stabilità del sistema in cui si trova sono strettamente legati alle caratteristiche della stella (o delle stelle), dunque è importantissimo conoscerne ogni caratteristica al meglio per avere un quadro chiaro e complessivo; soprattutto se il pianeta rientra nella zona abitabile ed ha caratteristiche terrestri.

Veniamo ora al pianeta appena scoperto.
La scoperta è stata possibile grazie all'utilizzo della schiera robotizzata di telescopi del MEarth Project, in Arizona, a caccia di mondi transitanti attorno alle nane rosse. Altri dati ed osservazioni sono state possibili grazie allo spettrografo HARPS, che ha rilevato le variazioni nella velocità radiale della stella causate dalla presenza del suo pianeta. 
E' stato quindi possibile rilevarlo grazie all'allineamento tra il suo piano orbitale e la nostra linea di vista: questa preziosa condizione ci permette di osservare il periodico transito del pianeta di fronte alla sua stella. Questo metodo è in grado di fornirci una montagna di preziose informazioni sul pianeta e sulla sua atmosfera. Per ora si sa che LHS 1140b ha una massa pari a 6.6 volte quella terrestre e un raggio 1.4 volte maggiore del nostro. La densità risultante è 2.3 volte quella della Terra, lasciando ben pochi dubbi sul fatto che sia un pianeta roccioso e quindi di tipo terrestre. Tale densità fa ipotizzare ad un mondo ricco di ferro e silicati con un nucleo metallico.
Altro punto importante: la sua massa e quindi la sua gravità è grande abbastanza da mantenere attorno a sè un'atmosfera complessa, capace di mitigare il clima e proteggerlo (al pari di eventuali forme di vita) dall'attività stellare e meteorica.
Orbita in 25 giorni attorno al suo astro ad una distanza di 0.09 UA, pari a meno di 1/10 della distanza che separa la Terra dal Sole. Questa vicinanza però permette al pianeta di rientrare perfettamente nella zona abitabile del suo sistema, essendo la sua una stella più piccola e fredda del nostro Sole.
E' stato inoltre possibile stimare un'orbita circolare per il pianeta, indizio di una situazione stabile per questo mondo promettente.
La vicinanza e le caratteristiche di questo pianeta sono oro per i cacciatori di pianeti e delle tracce di vita su di essi, tanto che la nuova generazione di telescopi che sarà operativa nei prossimi anni si occuperà certamente  e prioritariamente di questo pianeta. Nel frattempo però anche la tecnologia attualmente disponibile è in grado di anticipare ed aprire la strada allo studio della sua atmosfera. E' infatti lì che si concentra l'attenzione: si spera sempre di trovare tracce della presenza di vita osservando la composizione chimica dell'atmosfera, eventuali sue variazioni o la presenza di gas di origine incontrovertibilmente artificiale. 
Siamo all'inizio di questi studi ma stiamo già facendo passi da gigante anno dopo anno, accumulando esperienza e risultati impensabili anche pochi anni fa. 

7.4.17

STUDIARE L'ATMOSFERA DI ALTRE TERRE

Si stanno compiendo passi avanti nello studio delle atmosfere che circondano gli esopianeti rocciosi, in particolare quelle appartenenti alle superterre. Si tratta di pianeti di tipo terrestre, dunque rocciosi, di dimensioni maggiori di quelle della nostra Terra. 
Gli sforzi degli astronomi si concentrano sempre più sulla caratterizzazione di questa tipologia di pianeti e delle relative atmosfere in quanto si ritiene che siano i luoghi più promettenti per la ricerca della vita e delle tracce della sua presenza o attività.

La presenza di concentrazioni anomale di gas prodotti esclusivamente o strettamente collegati all'attività biologica può costituire un solido indizio circa la presenza di forme di vita su un determinato pianeta.
Questa volta l'attenzione si è rivolta ad una superterra in orbita attorno alla stella GJ 1132: si tratta in assoluto del pianeta più piccolo attorno a cui è stato possibile osservare e studiare l'atmosfera.
Per lo studio è stato utilizzato il telescopio da 2.2 metri dell'ESO/MPG situato in Cile. Per lo studio delle atmosfere ci si affida al buon vecchio metodo del transito: si attende che il pianeta transiti di fronte alla sua stella e, se possiede un'atmosfera, parte della luce stellare filtrerà attraverso l'involucro gassoso venendo selettivamente assorbita e rivelandoci dunque la sua composizione chimica.
Abbiamo accennato all'importanza dello studio se consideriamo le dimensioni del pianeta GJ 1132b: si tratta di una superterra ma avendo una massa ed un raggio rispettivamente pari a 1.6 e 1.4 volte quella terrestre...non è poi così super!
Insomma, questo studio certifica ufficialmente la nostra capacità di studiare atmosfere di pianeti rocciosi di piccole dimensioni, frutto del nuovo livello di sensibilità raggiunto dalla strumentazione disponibile e dai metodi di analisi dei dati.

GJ 1132b orbita in appena 1.6 giorni attorno ad una nana rossa distante circa 39 anni luce dal Sole, in direzione della costellazione della Vela. E' stato osservato simultaneamente a differenti lunghezze d'onda in 7 diverse bande dello spettro elettromagnetico. Dalle osservazioni è risultata una dimensione maggiore del pianeta ad una particolare lunghezza d'onda posta nell'infrarosso, rivelando la presenza di un'atmosfera opaca a questa particolare lunghezza d'onda. 

Utilizzando poi i dati raccolti in un modello che simuli al meglio quanto osservato, gli astronomi sono giunti ad un'atmosfera ricca di vapore acqueo e metano.
Ma, come spesso capita, la mancanza di alcuni dati al momento impedisce di saperne di più e di comparare la Terra con GJ 1132b: potrebbe essere un pianeta oceano o una terra con una calda atmosfera di vapore acqueo...
Il pianeta intanto riceve dalla sua stella 19 volte più radiazione rispetto alla Terra e la temperatura negli strati alti della sua atmosfera si stima attorno ai 260°C; la prossimità al suo sole fa ipotizzare che sia anche bloccato marealmente, rivolgendo sempre lo stesso emisfero alla stella e dunque creando complessi meccanismi climatici di trasporto del calore e di circolazione dei venti.
Se ne occuperà sicuramente a breve Hubble e nel prossimo futuro la nuova potente generazione di telescopi terrestri e spaziali. Per ora è stato fatto un altro importantissimo passo avanti.



24.3.17

UNA NUOVA SFIDA PER COMPRENDERE I SISTEMI PLANETARI

Attorno alla coppia di stelle HD 106906AB, distante 300 anni luce da noi, c'è un pianeta gigante che sfida i modelli attualmente utilizzati per spiegare la formazione planetaria
HD 106906b, questo il suo nome, è un pianeta 11 volte più massiccio di Giove in orbita attorno alle sue stelle ma ben oltre il vasto disco di detriti che la circonda. Rivoluziona a 730 UA dai suoi soli (730 volte la distanza Terra-Sole), percorrendo la sua orbita in oltre 1500 anni!
Non era mai stato osservato un pianeta la cui orbita fosse esterna rispetto al principale disco di detriti presenti attorno alla sua stella e, ora che ne è stato scoperto uno, gli astronomi cercheranno di studiare gli effetti perturbativi che la sua ingombrante presenza genera sull'esterno del disco di detriti.
Il disco, che ha una massa complessiva pari al 7% della massa lunare, presenta infatti asimmetrie a varie scale nella sua struttura ad anello attorno alle due stelle, che si estende da 65 a 550 UA circa.

Altro aspetto interessante è l'età del sistema: appena 13 milioni di anni. Un istante in termini astronomici!
Ma come è possibile che il giovanissimo pianeta in questione si trovi così lontano dal suo presunto luogo di formazione? Le ipotesi attuali si concentrano su una perturbazione gravitazionale che lo avrebbe allontanato dalle due stelle, ma il caso non ha precedenti e bisogna pensare da zero nuovi modelli e nuove dinamiche che spieghino le osservazioni. 


D'altro canto tra le ipotesi ci sono anche quelle che ipotizzano la sua formazione in situ, ovvero nel luogo in cui lo vediamo oggi. Alcune simulazioni condotte con il nuovo modello Smack (Superparticle-Method Algorithm for Collisions in Kuiper belts and debris disks) riescono a riprodurre in maniera convincente le osservazioni e l'orbita marcatamente ellittica del pianeta, senza considerare la presenza di ulteriori pianeti.

Questa nuova evidenza suggerisce agli astronomi di considerare nei sistemi planetari in esame sia i perturbatori interni che quelli esterni, al fine di comprenderne al meglio le dinamiche complessive e alcune asimmetrie e stranezze osservate in vari sistemi e dischi attualmente in studio.

19.3.17

ITALIA IN PRIMA LINEA NELLA CACCIA ALLE SUPERTERRE


Una joint venture tra l'Italia ed il gruppo di astronomi che ha scoperto i pianeti di TRAPPIST-1, ha collezionato un altro importante risultato. 
Si tratta della scoperta di due superterre, ovvero pianeti rocciosi con massa superiore a quella della nostra Terra, in orbita alla stella HD 219134 distante appena 21.25 anni luce dal Sole.
Nel sistema erano già noti dal 2015 altri 5 pianeti, tre superterre e due pianeti giganti gassosi.
Il sole di questi due mondi ci appare come una stellina di magnitudine apparente 5.6 nella costellazione di Cassiopea. La sua alta metallicità (130% di quella solare) le attribuisce un'età di circa 12 miliardi e mezzo di anni.

L'importanza della scoperta è data proprio dalla loro vicinanza: secondo il team di astronomi è assai improbabile che vi siano altre superterre transitanti più vicine a noi di quelle scoperte. Tale condizione le rende ovviamente oggetto di studi approfonditi, un'occasione che non si può sprecare o ignorare.
Per giungere a questa nuova scoperta è stato utilizzato il Telescopio Nazionale Galileo (TNG), situato alle Canarie, ed il Telescopio Spaziale Spitzer.
Il TNG, con il suo sensibilissimo spettrografo HARPS-North, ha utilizzato il metodo delle velocità radiali per evidenziare i pianeti in orbita attorno alla stella. In pratica ha misurato i disturbi gravitazionali sulla posizione della stella, indotti dalla presenza dei pianeti.
Spitzer, prezioso ed assai preciso in questo genere di rilevazioni, ha utilizzato l'ormai tanto proficuo quanto collaudato metodo del transito. 
L'unione dei due metodi ha permesso di ridurre l'incertezza sulle misure della massa e del volume dei due pianeti: questo aspetto è fondamentale per determinare accuratamente la densità (massa/volume) dei pianeti e quindi comprenderne la struttura interna e la composizione. 

L'analisi delle curve di luce dei pianeti ha confermato la rocciosità e ha permesso il calcolo delle masse, pari a circa 2.7 masse terrestri per HD 219134c e a 3 masse terrestri per HD 219134b. Sono stati calcolati inoltre i rispettivi periodi orbitali di 6.8 giorni e 3.1 giorni, corti abbastanza da collocarli su orbite assai prossime al loro sole.
La prima delle due superterre, HD 219134b, orbita a meno di 0,04 UA dalla sua stella, ha un raggio pari a 1.6 volte quello terrestre e una densità di 6 g/cm3.
La nota dolente è infatti la loro temperatura: considerando la loro vicinanza ed il tipo di stella (una nana arancione, quindi poco più fredda del Sole), sui pianeti la temperatura risulterebbe incompatibile con la vita. 


D'altro canto, però, la loro vicinanza e l'allineamento fortunato che ci permette di assistere al loro transito è prezioso per poter studiare a fondo questa importante categoria di pianeti extrasolari. In particolare è possibile compiere studi sulla loro composizione interna, sulla loro origine e sulle dinamiche riguardanti l'intero sistema planetario.
Il prezioso TNG e parte del team di astronomi autore della scoperta è italiano, evidenziando nuovamente l'eccellenza italiana nella scoperta e nello studio dei pianeti extrasolari.



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9.3.17

TRAPPIST-1: SECONDO ROUND!


Il mondo intero è rimasto affascinato dalla scoperta dei tre pianeti potenzialmente abitabili attorno alla vicina stella TRAPPIST-1 e gli appassionati, oltre agli addetti ai lavori, stanno cercando di imparare tutto quello che possono su questi mondi assai promettenti.
Passata l'euforia dell'annuncio, i lavori vanno avanti e procedono spediti verso nuove osservazioni e dunque nuove informazioni sull'intero sistema ed in particolare sui tre mondi posti all'interno della fascia di abitabilità.
Infatti, i principali telescopi terrestri e spaziali (oltre a quelli che saranno ultimati nel prossimo futuro) hanno in programma osservazioni dettagliate e ripetute del sistema al fine di ottenere quanti più dati possibili e migliorare i dati già in possesso.
Il telescopio spaziale Kepler, in prima linea sul fronte della scoperta di esopianeti transitanti, sta conducendo un instancabile lavoro di monitoraggio del sistema. Dal 15 dicembre 2016 al 4 marzo 2017, nell'ambito della missione K2, ha osservato i minuscoli cali di luce prodotti dal transito dei 7 pianeti davanti alla loro stella. I dati raccolti da Kepler sono disponibili da oggi (scaricabili qui) e gli astronomi sperano, grazie ad essi, di poter aumentare la precisione dei dati già in possesso ed in particolare di poter stimare con precisione anche la massa ed il periodo orbitale del settimo pianeta, TRAPPIST-1h, fino ad oggi note con grande incertezza.
L'osservazione di Kepler, nota come K2 Campaign 12, è in assoluto la più lunga osservazione continuativa condotta sul sistema di TRAPPIST-1 e permetterà di studiare anche le interazioni gravitazionali tra i pianeti del sistema (assai vicini tra loro, oltre che alla loro stella) e la possibilità che se ne nascondano altri finora sfuggiti alle osservazioni.
Per dare un'idea della priorità rappresentata dallo studio di questo sistema basti pensare a quanto è stato fatto di recente dal team di Kepler. Nell'ottobre 2015, quando non erano noti i promettenti pianeti di TRAPPIST-1, vennero stabilite le coordinate entro cui Kepler doveva osservare e raccogliere dati nella sua Campaign 12: la stella TRAPPIST-1 ed il suo seguito non erano incluse nell'area di cielo osservata. Nel maggio 2016, appena annunciata la scoperta dei primi 3 pianeti terrestri nel sistema, il team si mise al lavoro per correggere il puntamento di Kepler e includere la stella nelle osservazioni future. Nell'ottobre dello stesso anno il telescopio era pronto per raccogliere dati. Durante la campagna 12 c'è stata un'interruzione nella raccolta dei dati dovuta ad un reset del software di bordo in seguito al bombardamento di raggi cosmici, problema risolto in cinque giorni senza gravi conseguenze.

Lo studio approfondito del sistema quindi prosegue, con appassionati ed astronomi sempre più affascinati e a caccia di certezze.

28.2.17

TANTA ROCCIA ATTORNO A DUE SOLI


A 1000 anni luce di distanza brilla una coppia di stelle nota come SDSS 1557, composta da una nana bianca ed una nana bruna in orbita al comune centro di massa in appena 2.27 ore. 
Per la prima volta sono stati osservati detriti rocciosi in orbita attorno ad un sistema binario, evidenziati dall'inquinamento dell'atmosfera stellare causato dal materiale roccioso e ricco di metalli in caduta verso la coppia di astri. La situazione permetterebbe di ipotizzare la presenza di uno o più pianeti rocciosi nel sistema.
L'attualmente ipotetico pianeta sarebbe molto simile al celebre Tatooine dell'universo fantascientifico di Guerre Stellari, con un cielo solcato da due soli.
La scoperta è di particolare importanza perchè prima d'ora, attorno ai sistemi stellari binari, erano noti solamente pianeti giganti gassosi e non era mai stata osservata una fascia asteroidale. 
L'analisi spettroscopica del materiale in caduta verso la superficie di una delle stelle ha mostrato la presenza abbondante di metalli, silicio e magnesio: tutti ingredienti indispensabili e necessari per la formazione di pianeti rocciosi di tipo terrestre. Tutto il materiale rilevato equivarrebbe ad un corpo asteroidale di circa 4 km di diametro (100 miliardi di tonnellate di massa).
A causa dell'intensa gravità esercitata dalle due stelle, si riteneva impossibile la formazione di pianeti rocciosi nati dalla progressiva aggregazione di polveri ed asteroidi. Questa scoperta determina un'opportunità unica di monitorare proprio questo controverso passaggio. Altrettanto importante è la posizione in cui si trova il materiale rispetto ai due astri: la distanza è abbastanza elevata da permettere orbite stabili e assai poco perturbate dal sistema binario centrale.
Non è stata ancora osservata la presenza di uno o più pianeti rocciosi nel sistema, ma la disposizione del materiale in una cintura asteroidale attorno ai due soli fa ben sperare.
Per osservare il lontano sistema binario hanno unito le forze il Gemini Observatory South Telescope e il Very Large Telescope, i quali hanno permesso di osservare e determinare la composizione chimica dei detriti. Le prossime osservazioni saranno compito del quanto mai indispensabile e performante Hubble Space Telescope; bisognerà fare presto però perchè entro poche settimane le polveri rocciose e ricche di metalli sprofonderanno all'interno della stella sparendo alla vista per sempre.