18.7.17

SPHERE E IL DIRECT IMAGING


Nonostante il gran numero di esopianeti scoperti, è sempre complicato poter dire "ho visto un esopianeta". Nella quasi totalità dei casi la presenza di un pianeta viene dedotta dal disturbo gravitazionale che genera sulla sua stella (metodo delle velocità radiali), dalla particolare curva di luce prodotta dalla sua stella quando la eclissa ciclicamente (metodo del transito, microlensing gravitazionale), dalle anomalie nel precisissimo rintocco delle pulsar (metodo del timing delle pulsar). 
Eppure una piccola quota dei pianeti conosciuti è stata scoperta direttamente (direct imaging): la radiazione proveniente dal pianeta (riflessa o intrinseca) raggiunge direttamente il sensore del telescopio e viene catturata in una fotografia.
La potenza di questo metodo sta nel poter dare un'immagine in tempo reale del sistema così come esso è in realtà, oltre a poterne seguire direttamente l'evoluzione nel tempo. Al di là del lato estetico tali immagini (ovvero la luce del pianeta) vengono successivamente analizzate spettroscopicamente per trarne quanti più dati possibili. Infatti è ancora abbastanza raro avere la possibilità di studiare un segnale esoplanetario "pulito" come quello puntiforme ed isolato raccolto dal direct imaging. L'unica alternativa (attualmente la più proficua) è lo studio delle atmosfere esoplanetarie, possibile grazie al metodo del transito, che permette in alcuni casi di studiare la luce rifratta dall'atmosfera del pianeta durante il transito di fronte alla sua stella. La comprensione della composizione atmosferica permette indirettamente di ipotizzare la composizione superficiale o interna del pianeta.
Ma torniamo al direct imaging. Com'è possibile osservare direttamente la luce riflessa (o emessa) di un pianeta lontano tra i 4.2 e svariate centinaia di anni luce? E' una sfida ancora al limite delle nostre capacità tecnologiche attuali e necessita dei telescopi più grandi esistenti al mondo e di un sensore estremamente sensibile e performante, che nel caso di osservazioni da terra sia in grado di correggere in tempo reale le distorsioni prodotte dall'atmosfera (ottiche adattive).
Ebbene ne esistono già alcuni e tra i migliori spicca lo strumento SPHERE (Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet REsearch instrument) dell'ESO montato sul telescopio 3 del VLT (Very Large Telescope). Quando lo strumento opera, utilizza un coronografo stellare per bloccare la luce abbagliante della stella ed osservare scrupolosamente le sue immediate vicinanze alla ricerca di pianeti in orbita. 
La risoluzione spaziale di SPHERE oscilla tra 0.02 e 0.08 secondi d'arco a seconda della lunghezza d'onda in cui sta osservando (0.5–2.32 µm). 
L'ultima scoperta effettuata da questo straordinario strumento è quella del pianeta HIP 65426b, di cui è stata ottenuta una fotografia. Questo mondo dista 385 anni luce da noi,
Per ottenere questa immagine lo specchio di SPHERE (dotato delle più avanzate ottiche adattive) ha corretto ed eliminato 1200 volte al secondo le turbolenze prodotte dall'atmosfera terrestre.
Come accennato, è inoltre in grado di catturare la luce di un pianeta anche un milione di volte più debole rispetto alla sua stella.
Dall'analisi spettroscopica della luce esoplanetaria catturata è stato possibile determinare la temperatura del pianeta, pari a 1200°C, stimare la distanza dalla sua stella in circa 30 UA (4.5 miliardi di km) e la sua massa compresa tra 6 e 12 volte quella del nostro Giove. Ma non solo, è stata osservata anche la presenza di acqua e di nubi nella sua atmosfera.
Dall'osservazione della sua stella invece, gli astronomi si sono resi conto che l'astro ruota attorno al proprio asse circa 150 volte più veloce rispetto al sole. 
Si cerca ora di capire come questo sia possibile e quali sono le cause di quanto osservato: per ora ci sono due ipotesi. Il primo scenario vedrebbe la migrazione del pianeta verso l'esterno del sistema una volta terminata la sua formazione e dissipato il disco, causata probabilmente dall'interazione con altri pianeti massicci del sistema. Il secondo invece ipotizza una formazione comune e coeva della stella e del pianeta, ma quest'ultimo non avrebbe raggiunto la massa sufficiente per poter innescare le reazioni di fusione nucleare e diventare una stella a tutti gli effetti.

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